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Chi è il “capofamiglia”? Le parole sono importanti: Repubblica.it e il vocabolario.

Da Marypinagiuliaalessiafabiana

capofamiglia

Di questo ennesimo fatto di cronaca nera sappiamo ben poco, perchè poco ancora sanno gli inquirenti.
Un uomo avrebbe ucciso la moglie e i due figli e poi si sarebbe suicidato.
Non entriamo nel merito della vicenda, ma solo nella presentazione che ne fa Repubblica.it, segnalata da un utente.

Nell’anteprima dell’articolo, che costituisce un piccolo abstract, un riassunto, spesso più letto dell’articolo per intero, spicca una parola: capofamiglia. Una parola che ci riporta indietro di 40 anni almeno, quando l’Italia rispettava ancora la norma contenuta nell’art. 144 del Codice civile, che prevedeva il ruolo di capofamiglia e lo attribuiva al marito, abrogata poi  dalla legge 19 maggio 1975, n. 151 con la Riforma del diritto di Famiglia.

Capofamiglia. Una parola che dovrebbe essere ormai in disuso, perchè indica qualcosa che non esiste più, ha un significato spazzato via dall’emancipazione femminile e familiare. O no?

Per capofamiglia si intende il membro di un nucleo familiare cui si riconosce giuridicamente e socialmente autorità sugli altri membri.
In Italia, il capofamiglia è sempre stato riconosciuto come l’uomo del nucleo, marito e padre, cui si attribuiva patria potestà e potestà maritale.
Quest’ultima è in effetti la condizione di superiorità e il ruolo predominante riservato al marito rispetto alla moglie.
Secondo la potestà maritale, l’uomo ha il diritto di impartire ordini e divieti alla moglie, come anche il diritto di punirla.

E’ degli anni ’70 dunque la modifica di questa norma, l’abolizione della potestà maritale e il passaggio da patria potestà ( che riguardava appunto solo il “pater familias” ) a potestà genitoriale ( riferità cioè a entrambi i genitori ). Questo cambiamento infatti è avvenuto in Italia in quegli anni in cui l’evoluzione dei costumi, la pressione delle istanze e del movimento femminista e l’esempio di altri Paesi europei portarono alcuni sostanziali processi sociali ad evolversi.

Oggi “capofamiglia” quindi a cosa si riferisce?

In antropologia, economia e sociologia è usato per indicare il membro della famiglia il cui lavoro all’esterno rappresenta la principale fonte di reddito famigliare.

Nelle società occidentali di un secolo fa, anche in questo senso si sarebbe parlato solo di uomini, ovviamente, dal momento che nelle famiglie borghesi spesso la moglie non lavorava fuori dall’ambito domestico, in quelle di estrazione proletaria  non rappresentava comunque la principale fonte di reddito.
Oggi, nonostante il divario salariale e la “genderizzazione” di alcune professioni, vi sono anche molte donne che procurano alla famiglia le entrate economiche maggiori, per non parlare dei nuclei monoparentali in cui, obbligatoriamente, una donna è “capofamiglia”.

Usare la parola capofamiglia su uno dei quotidiani più letti d’Italia, porta quindi a pensare a un’innata predisposizione per pensare al capofamiglia al maschile, attribuire questo ruolo all’uomo adulto della famiglia in maniera superficiale e facendo trasparire una tradizione culturale ferma almeno a 40 anni fa. Non solo perchè, come abbiamo detto, non esiste più questo concetto giuridico legato al marito/padre, ma anche perchè, nello specifico della famiglia descritta poi nell’articolo, la moglie assassinata era farmacista come il marito, ma anche vicesindaco del paese, quindi evidentemente rappresentava la pricinpale fonte di reddito del nucleo familiare.
Usare la parola capofamiglia per un uomo solo in quanto uomo, in quanto marito, in quanto padre, tralasciando i cambiamenti del codice civile e manipolando il significato economico-sociale del termine, dovrebbe farci rendere conto di quanto queste strutture patriarcali retrograde ed apparentemente superate siano ancora vive e comunichino con le masse tramite i più noti mezzi di informazione.


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