***½
2013, di Alessandro De Cristofaro
Con Mafalda De Risi, Luca Iervolino, Antonio Laurenti, Margherita Romeo, Tonino Taiuti
Il cortometraggio è un genere a sé, come lo è il racconto a fronte del romanzo, ma anche come lo è il western, la commedia e l’horror. Ad un cortometraggio si chiede incisività, brevi tratti che abbozzano un quadro più grande, più ampio di quanto il tempo permetta. A molti cortometraggi riesce di raccontare una storia compiuta, ad alcuni di costruire un’emozione, ad altri di avere una coerenza stilistica o una valenza tecnica, a pochi riesce di costruire un ambiente, a pochissimi di rappresentare una società, un momento storico, un’ideale.
Struzzo! di Alessandro De Cristofaro è sorprendente. Ha pecche che sembrano difetti e sono invece vuoti da riempire, vuoti necessari, che diventano la parodia di sé stessi rendendo il tutto doppiamente efficace.
Il dualismo che si vuole contrapporre è quello tra erudizione ed ignoranza, tra seriosità e superficialità, senza emettere giudizi. Due diversi tipi di messa in scena aprono l’opera: un filosofo ragiona sepolto nella sabbia fino al collo, e le inquadrature sono statiche, l’accompagnamento musicale è di un’armonia sofisticata, i soggetti sono naturali, di primigenia bellezza; un gruppo di amici poco lontano parte da casa, e la camera traballa, si muove, corre, la compilation su una vecchia cassetta ripete ossessivo il suo scarno simbolo di appartenenza, appartenenza ad una cultura del “tutti ovviamente insieme” in cui l’individuo si fa massa, inerte, incolta e felice.
Il frastuono irrompe e disintegra il silenzio: è la legge del più forte, il filosofo non trova più pace fino a sera, ma è inamovibile. Sembra quasi assurdo come non si tiri fuori e vada via, o almeno “più in là” sulla spiaggia, non appena il suo spazio di infinito diventa così stretto da non riuscire a balbettare un pensiero. Ma questa sua fermezza è mirabile, costituisce il vero e proprio simbolo di questa rappresentazione.
L’intera giornata trascorre tra insofferenza e indifferenza, fino a ché l’ultimo grammo di pazienza viene scacciato da una pallonata in testa. È la fine, tutto il rispetto cade come un sipario. L’erudizione scaccia gli “individui” non meritevoli, a suo parere, di questo nome. Gli “individui” forti del gruppo fanno sentire la loro vendetta, terribile e incredibile se si guarda al tono umoristico tenuto sino a quel momento.
Il mare lava un coltello colorandosi di rosso ed una dubbia busta della spazzatura a forma sferica viene gettata in un cestino come fosse un pallone da calcio o da basket. Il dubbio sul suo contenuto è una reazione dello spettatore gestita ottimamente dal regista: il dubbio c’è perché non vogliamo credere ad una simile violenza, c’è perché è ovvio che non ci siano dubbi in una finzione cinematografica.
Si direbbe umorismo nero, io aggiungerei stordimento, mescolamento di stereotipi. Quest’opera nella sua semplicità di mezzi e di idee ha una gran forza, la forza della metafora. Riesce, come dicevo in esordio, a rappresentare, qualcosa di vero, qualcosa che si agita nella nostra società ma che non sappiamo bene identificare.
Lo struzzo infila la testa sotto terra, il filosofo aveva solo la testa fuori da terra, il filosofo avrebbe voluto infilare lui, a quei quattro, la testa sottoterra nella sua esplosione di rabbia.
Se c’è dialogo tra pensiero ed azione (il filosofo è immobile, i quattro amici sono in perenne movimento tra bagni e partitelle), c’è dialogo tra dentro e fuori, vedere e non vedere, capire e non voler capire.
Sorprende, perché non ci si aspetterebbe tanta profondità sotto un vestito così esile, perché credo sia la prima vera opera di De Cristofaro, perché gli attori rappresentati in modo talmente esagerato risultano più veri di quanto sarebbe riuscito provando a farli sembrare veri davvero.
È un’opera in negativo, un’opera che dice tutto quello che sembra negare, ingannando, illudendo, convincendo, svegliando i dormienti dal loro torpore e facendo cadere dal piedistallo gli eterni eruditi.