Agli archeologi Marcello Madau e Alfonso Stiglitz e alla scrittrice Michela Murgia la proposta dei Riformatori sardi non va giù, anche se come formazione culturale e politica sono diversissimi. Il primo si dichiara di sinistra, il secondo sardista, la terza indipendentista. Quel che li unisce – ed ecco la loro comune Weltanschauung – è il sospetto-certezza che la Regione sarda non sia abilitata a fare quel che lo Stato fa (o dovrebbe fare): finanziare la ricerca e dirigerla. Lo Stato non è certo neutro nella ricerca archeologica: finanzia quel che è in grado di cantare le sue origini, romane, etrusche, greche e persino fenicie; non finanzia o finanzia in maniera irrisoria la ricerca sulle culture “barbare”, quella nuragica compresa.
Se è vero quel che sostiene la Regione, quel po' di ricerca fatta sulle statue di Monte Prama è stata finanziata da essa, non dallo Stato che pure costituzionalmente ne avrebbe l'obbligo. Del resto, basterebbe guardare i siti del Ministero dei beni culturali e delle sue dipendenze sarda per accorgersi dove vanno i soldi pubblici. Lo stesso Stiglitz, che da tre decenni si occupa di s'Urrachi, lamenta l'estrema penuria di finanziamenti per uno dei monumenti più importanti della civiltà nuragica. Né si può pretendere, quale che sia il colore del governo sardo, che sia questo a spendere le sue poche risorse per qualcosa che istituzionalmente spetta allo Stato di tutelare.
Quando si approverà la proposta dei Riformatori sardi, sarà inevitabile il ricorso del governo italiano – così mi dice un amico costituzionalista – contro il comma 6 dell'articolo 4 (“Redazione di un piano di tutela e sorveglianza dei siti nuragici e di prevenzione dalle attività di spoliazione), che eccede le competenze della Regione. La tutela del patrimonio culturale è, infatti, di potestà esclusiva dello Stato. Sia detto per inciso, comprendo la legittima opposizione di chi, come Madau, da sempre ha una visione statalista dei beni culturali. Meno comprendo la posizione di chi, sia pure con accentuazioni diverse, si richiama ai diritti storici della Nazione sarda, fino, come la Murgia, a rivendicarne l'indipendenza.
I primi due obiettano sulla titolarità della Regione a promuovere la ricerca e la valorizzazione anche commerciale (che cosa fa lo Stato a Pompei e anche in Sardegna?) dei beni culturali, la terza sulla titolarità di questa amministrazione di centrodestra. Tutti se la prendono con l'idea di suscitare gli studi (e poi la vendita sul mercato) sull'isola di Atlante. I primi due sono stati fra i firmatari dello sciagurato appello-scomunica contro il libro di Sergio Frau, la terza no. Eppure la cosa è molto semplice: chi propone la legge, così come molte altre persone, vorrebbero che si facessero ricerche serie sulle questione sollevata da Frau. La “stragrande maggioranza” degli archeologi, secondo Madau, non ci crede. Lo sappiamo tutti che così è. Ma si è sicuri che la “stragrande minoranza” che invece ci crede sia composta di perfetti idioti? Secondo gli archeologi sardi citati da Madau, non sono mai state trovate evidenze di uno tsunami distruttore di Sardegna-Isola di Atlante. Ripropongo la solita domande: queste prove sono mai state cercate? Moltissimi di noi sono pronti ad accettare l'evidenza, scientificamente e non parolariamente conclamata, ma quelli che Leonardo Melis chiama Archeobuoni hanno la stessa disposizione? Il problema è tutto qui. E la proposta dei Riformatori sardi (lo dico perché non si equivochi, non sono nelle mie simpatie politiche) anche a questo mira.
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