Questa è la storia di un antico mestiere napoletano considerato oggi reato e punito con una multa che va da 51 a 516 euro. L’arriffatore, organizzatore di riffa, era un personaggio molto noto a Napoli e lo è stato fino agli anni ’80.
Ma cos’era la riffa? Era un piccolo gioco come quello del lotto. Vendendo novanta numeri si permetteva di vincere qualche premio che poteva variare dal cibo all’abbigliamento, dall’uovo di Pasqua ai prodotti per il cenone natalizio e si proponeva prevalentemente in prossimità di feste, di momenti economici un po’ difficili, in prossimità del periodo degli sposalizi o delle comunioni o quando i prodotti messi in palio avevano prezzi che non potevano essere comprati sul mercato se non per piccole quantità. Certe volte erano gli stessi partecipanti alla lotteria a suggerire le cose da mettere in palio per cui si poteva vincere dell’olio extravergine di oliva o dell’ottimo vino prodotto in zona, un abito un scialle, galline vive, salami, fette d’arrosto, tortani e frutta.
Il mestiere dell’arriffatore era un ricordo della dominazione borbonica a Napoli, infatti, “riffa” in spagnolo significa proprio sorteggio. Egli girava per il quartiere dove era conosciuto ed escludeva i parenti per non far nascere chiacchiere in caso di vincita. Appena i novanta numeri venivano esauriti, a mezzogiorno si metteva al centro di una piazza e richiamando l’attenzione di tutti con voce squillante e sottintesi maliziosi tirava i numeri dallo stesso panariello usato per la tombola. Le frasi sono ancora oggi usate nelle tombole natalizie di famiglia e trasmesse, insieme, ai significati della smorfia napoletana, di generazione in generazione. L’arriffatore, che la maggior parte delle volte era un femminiello (travestito), urlava: “Neh, ca io o’ tire!“, oppure: “Guagliò, guarda, a mana è libbera!“, ecc. Poi rovesciava sulla mano sinistra il numero che diventava il primo estratto recitandolo a voce alta da farsi sentire da quasi tutto il vicinato e assegnava il premio più importante a chi lo possedeva. Il personaggio del femminiello (in foto) viene ricordato a volte anche tra i pastori del presepe napoletano e la tradizionale riffa popolare viene ricordata oggi come “la tombola dei femminielli“, con eventi e tombole cittadine.
Quando i vincitori erano presenti i premi venivano consegnati subito altrimenti si provvedeva ad avvisarli e non è mai capitato di dimenticare un premio anche se il suo valore non raggiungeva quello del primo. Quando l’arriffatore vendeva un biglietto a qualcuno che non apparteneva al suo quartiere al cliente veniva dato un biglietto mentre sulla matrice era annotato il suo nome e cognome.
Non era raro che l’arriffatore poteva far parte del gentil sesso, infatti, nel dopoguerra c’erano donne che in questo modo procuravano alla famiglia un guadagno consistente che permetteva di vivere degnamente per la maggior parte dell’anno per poi ricorrere ad altri mestieri, anch’essi ambulanti e stagionali, ma senza alcun fascino che la riffa portava con sé.