Chi erano veramente gli shardana? di Alfonso Stiglitz

Creato il 04 marzo 2014 da Pierluigimontalbano
Chi erano veramente gli shardana?
di Alfonso Stiglitz


Uno dei miti più profondamente radicati nel nostro immaginario quotidiano è quello degli “Shardana dal cuore ribelle”, balentes ante litteram, portatori di un ribellismo permanente, al quale gli ideologi colonialisti (consapevoli o meno) condannano la Sardegna e le altre terre: nobili, ribelli e sconfitti.Agenzie di viaggio, marchi commerciali, libri di successo, società per lo studio della genetica, sono tutti portatori di quel nome e propagatori di una lettura ideologica della storia.
Ma è una storia vera? Chi erano veramente gli Shardana?
Mentre oggi si continuano a ripetere gli stereotipi di un secolo fa, basati su una lettura credulona dei testi propagandistici dei faraoni, in Vicino Oriente gli archeologi scavano i luoghi delle gesta degli Shardana e degli altri “popoli del mare”, fornendoci dati oggettivi sulla loro vita quotidiana, mostrandoci come poco o nulla avessero a che fare con la Sardegna.
I testi dei faraoni ci hanno fatto credere a un’invasione che, tra il XIII e il XII a.C., avrebbe causato un vero crollo di civiltà nel Vicino Oriente: palazzi micenei, città (Ugarit), regni (Ittiti) tutti spazzati via dal maglio di questi barbari devastatori. Oggi a quella invasione dei “popoli del mare” quasi nessuno crede più. D’altra parte nessuno crede più al vecchio racconto ottocentesco di una storia fatta di invasioni e migrazioni, è stata cancellata quella degli Hyksos, non è mai esistita quella degli Amorrei e forti dubbi abbiamo su quella dei Dori. Lo stesso nome “popoli del mare” è frutto di un’errata lettura, come ha mostrato Sergio Donadoni negli anni ’60, sarebbe meglio tradurre “i barbari della pirateria” che, all’epoca, era un’attività commerciale aggressiva e antistatale e non un'invasione militare.
Se abbandoniamo la propaganda faraonica e ci rivolgiamo ai dati concreti, vediamo che gli Shardana sono presenti nel Vicino Oriente, a Biblo e a Ugarit, secoli prima della presunta invasione. A Ugarit una decina di documenti giuridici li mostrano pienamente integrati nella compagine sociale della città tanto da condividerne la lingua, la cultura e i culti. Uno di loro si chiama Mutbaal, tipico nome semitico che significa “dono di Baal”, e ci fa sapere che il padre era un devoto della principale divinità cananea.
Nello stesso Egitto i papiri amministrativi ci restituiscono un’immagine degli Shardana pienamente integrati e stanziati nel centro e nel sud del paese, ma non nella costa. Pagano le tasse, possiedono terreni da coltivare, hanno servitori, contadini e pastori alle proprie dipendenze; di loro conosciamo il nome, almeno una settantina tra uomini e donne. Di uno, Pagezef, vediamo il volto mentre offre un voto a Harashef, il dio di Eracleopoli, nel Medio Egitto. Non a caso qualche studioso si chiede se il termine Shardana indichi un etnico o una funzione (militare o mercenario)
Si parla tanto della ceramica “micenea III C”, considerata la ceramica dei “popoli del mare”, ebbene, gli studi condotti negli ultimi anni hanno permesso di attribuirla ai Filistei e non agli Shardana o agli Shekelesh; ciò significa che i frammenti di quella ceramica trovati in Sardegna attestano relazioni commerciali con mercanti levantini tra i quali dovevano esserci Filistei. Questo dato è rafforzato anche dal rinvenimento di un frammento di sarcofago filisteo, databile tra XI e X a.C., a Neapolis nel golfo di Oristano e da altre attestazioni.
La Sardegna è il crocevia di movimenti commerciali marittimi di cui essa è protagonista, soprattutto negli ultimi secoli del II millennio (per intenderci quelli dei pozzi sacri, dei santuari e dei grandi villaggi del Bronzo Finale) e i primi del I millennio; tra i mercanti che passano qui a commerciare ci sono Micenei, Ciprioti, Filistei, Aramei, Siriani, Fenici, ma non Shardana; finora non è stato trovato niente di loro. E i commercianti nuragici che navigano nel Mediterraneo hanno lasciato oggetti a Creta, in Sicilia e poi in Spagna e in Italia, ma non nei luoghi Shardana (Ugarit, Biblo, Acco e dintorni, Egitto).
Si è detto che è stata trovata una fortezza nuragica in Israele, nel sito di El-Ahwat, ma i raffronti portati dall'archeologo che ha diretto gli scavi sono generici e anacronistici; si è proposto, infatti, di confrontare i corridoi della fortezza con quelli dei “nuraghi a corridoio”. In altre parole un gruppo di nuragici della fine del XIII a.C. avrebbero importato in Israele non le tecniche costruttive loro, ma quelle dei loro lontani antenati; mi sembra, francamente, inverosimile. D’altra parte non sono stati trovati elementi culturali nuragici: l’unico frammento ceramico portato come esempio, in realtà, non ha nulla di nuragico. Allo stesso modo gli scavi nel centro di Acco (Israele) e nel suo territorio e nella fortezza di Tell es-Saidiyeh (Giordania), connessi con gli Shardana,
hanno restituito una cultura materiale molto diversa da quella della Sardegna.
Si è detto che la Sardegna è ricca di oggetti egiziani derivanti, appunto, dagli Shardana. È una favola ottocentesca nata al momento della scoperta delle grandi tombe puniche e romane di Cagliari e Tharros, dalle quali, è vero, provengono numerosi amuleti, scarabei e gioielli egiziani, ma si tratta dei normali oggetti di corredo dell’età fenicio-punica e romana, che si rinvengono in tutte le loro necropoli, ovunque nel Mediterraneo.
I bronzetti e le navicelle votive databili tra il X e il VII a.C. sono stati confrontati con i bassorilievi egiziani di XIII a.C. Si è notata la rassomiglianza degli elmi cornuti, degli scudi rotondi e delle spade lunghe. Peccato che gli stessi elementi siano presenti nel Vicino Oriente in epoca contemporanea e anche più antica e che l’appicagnolo sugli elmi, presente in quelle terre, sia assente nei bronzetti nuragici. Non solo, gli Shardana si presentano perfettamente rasati, anche i capelli, oppure con barba, baffi, folta chioma e orecchino; i bronzetti (e le statue) nuragici sfoggiano eleganti capigliature a trecce. Le navicelle, poi, sono completamente diverse, lo si vede ad esempio dalle prue e dalle poppe delle navi dei rilievi egiziani che, invece, sono molto simili a quelle raffigurate nei vasi tipo Miceneo IIIC, probabilmente filistee.
Si favoleggia di città sommerse in Sardegna. È una leggenda metropolitana che deriva da un’errata lettura fatta molti anni fa di alcune foto aeree di Nora e Tharros. Decenni di ricerche archeologiche e geologiche nei due centri hanno dimostrato che non esistono città sommerse; quei pochi resti sotto costa derivano dall’erosione costiera e dall’innalzamento del livello del mare, di circa 50 cm, avvenuto dopo l’età romana Non esistono città Shardana in Sardegna, può dispiacere ma i dati concreti sono più chiari dei sogni: Cagliari, Nora, Sulci, Tharros e le altre sono città fenicie, sorte da originari scali fenici in aree occupate da villaggi nuragici.
L’accostamento dei due nomi, Shardana e Sardegna, si basa sulla loro assonanza e questo, da solo, dovrebbe mettere in guardia dai facili entusiasmi. In realtà la radice Serd/Sard è diffusa in tutto il Mediterraneo e non è così distintiva (a meno che non si voglia pensare, come qualche appassionato fantasioso fa, a una sorta di razza dominante l’intero Mediterraneo e oltre, di cui non sarebbe però rimasta alcuna traccia materiale: fantasmi, cioè). Va ricordato, peraltro, che il nome Sardegna è utilizzato per la prima volta dai Fenici e che, come faceva notare il buon Pausania, non ha niente a che vedere con i nuragici.
Si potrebbe continuare, ma mi pare già chiaro che quella degli Shardana in Sardegna è una leggenda metropolitana, alimentata in buona parte da una male indirizzata volontà di nobilitare la nostra storia, quasi ci si vergognasse di essa e fosse necessario nasconderla dietro il paravento di “nobili miti” fondanti. Ma la nostra identità non ha bisogno di miti “patacca”, essa nasce da una lunga storia di incontri (pacifici o meno) che ha prodotto quello che siamo, dei meticci portatori di tante belle culture. Alla domanda “e gli Shardana?” mi sto abituando a rispondere “no, grazie, siamo sardi”.
Nell'immagine: un bassorilievo che descrive la guerra fra il faraone Ramesse III e i popoli del mare.

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