Chi si separa da chi?

Creato il 10 marzo 2013 da Golemino

Venezia e Mestre: un divorzio consensuale.

Dopo quattro tentativi non andati a buon fine, è in cantiere un altro referendum per dividere Venezia da Mestre e creare due comuni.

Io non ho ancora capito se è Venezia che vuole la secessione o se è Mestre a volersi emancipare.

Sono passati quasi dieci anni dall’ultimo referendum e il presidente del Mav (Movimento autonomia Venezia), avvocato Francesco Mario d’Elia, già promotore dei quattro referendum precedenti (il primo fu nel 1979, l’ultimo nel 2003) torna all’attacco depositando in Regione la proposta di legge d’iniziativa popolare dando così il via alla procedura.

Le due città, dotate ognuna di un proprio comune ed autonomia amministrativa, vennero unite da una legge fascista nel 1926 e da allora periodicamente riaffiorano malumori più meno concreti da entrambe le parti.

Fare Venezia e Mestre due città distinte a chi gioverebbe? Dal 1979 sono già stati fatti 4 referendum. Sono falliti tutti e in alcune non si è nemmeno raggiunto il quorum.

Ma allora quali sono i temi della discussione?

La sopravvivenza di Venezia è a rischio.

Venezia negli anni si sta trasformando in un museo, un luna park in cui si mangia, ci si diverte e si dorme.

Si vive sempre meno a Venezia: acqua alta, scomodità dei trasporti e mancanza di servizi essenziali, turismo invadente, alloggi con prezzi improponibili e scarse possibilità di occupazione se non nel settore turistico, portano ad un esodo verso la terraferma che si fa sempre più consistente. Una città non può chiamarsi tale senza abitanti.

La maggioranza dei Consiglieri Comunali proviene dalla terraferma.

E’ quindi opinione del MAV che gli amministratori non facciano gli interessi di Venezia ma che cerchino di approfittare della sua ricchezza, spremendola e sfruttandola fino all’osso per poi investire i profitti in strutture e servizi per la popolazione della terraferma.

Vengono chieste quindi due Comuni distinti che si occupino ognuno della propria area di competenza al meglio, risolvendo i problemi in maniera più efficace, pensando ad uno sviluppo che meglio si adegui alle potenzialità del territorio.

Con i tagli alla spesa pubblica degli ultimi anni è credibile un raddoppio delle uscite per la gestione della pubblica amministrazione?

I veneziani per riappropriarsi della propria città devono poterla gestire in autonomia.

Ereditari di una tradizione secolare ricchissima, i veneziani vedono scomparire a poco a poco le proprie tradizioni. Attività artigiane a rischio estinzione, appuntamenti culturali della città oramai in pasto ai geni del marketing turistico e la quiete dell’acqua agitata da navi da crociera e motoscafi, hanno messo a repentaglio l’orgoglio di essere veneziano perché la vera Venezia è un’altra cosa.

E Mestre? E la terraferma?

Le terre oltre il ponte in questi cento anni sono cresciute, maturate, acquisito identità.  Hanno delineato un futuro proprio in cui Venezia è una sorella alla pari, non una madre padrona.

Se queste considerazioni tecniche possono anche convincermi che una separazione sarebbe la cosa migliore, poi però mi viene in mente la malattia di veneziacentrismo dei suoi abitanti, l’idea mitica che hanno della loro città rispetto alle “campagne” oltre il ponte.

Un cambiamento del genere farebbe regredire la città di qualche secolo e non sono realmente convinta che una giunta di soli veneziani autoctoni riuscirebbe a contrastare i poteri forti generati soprattutto dal business del turismo sul quale si regge l’economia della città.

Venezia non riuscirebbe a mantenere i suoi costosi lifting quotidiani, cadrebbe a pezzi o verrebbe sommersa dalle acque.

Almeno avrebbe una fine gloriosa, direbbero alcuni. 



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