Chiacchierando con i Mali Weil

Creato il 26 novembre 2013 da Scatolaemozionale

Incontro i Mali Weil poco prima dell’ultima replica di Animal Spirits, all’interno diHOUSEMATES - dal 6 al 17 novembre - progetto di coesistenza teatrale, promossa dal CRT di Milano. E’ una domenica pomeriggio in una Milano soleggiata. Arrivano insieme Lorenzo Facchinelli, Elisa Di Liberato e Mara Ferrieri, le tre personalità che danno vita al gruppo che si divide tra Trento e Berlino. Per capire com’è nato Animal Spirits, per conoscere un po’ più da vicino questo gruppo, decisamente innovativo, e per prepararmi all’immersione nel loro particolare concept store li ho incontrati (per me e anche un po’ per voi), ecco cosa mi hanno raccontato.

Chi sono i Mali Weil, come nasce la vostra collaborazione e da dove nasce il nome del gruppo?M. Ci siamo incontrati al corso di regia alla Paolo Grassi, un corso di 4 persone, e abbiamo iniziato a lavorare insieme subito dopo la fine dell’accademia, dal 2007, anche se ufficialmente dal 2008 con le prime produzioni.Il nome è nato dalla volontà di trovare un nome di persona ma che fosse sufficientemente ambiguo da non lasciare immediatamente capire la sessualità, la religione e la provenienza. Abbiamo, quindi, messo insieme queste parole, queste suggestioni sonore, per creare una figura, un ibrido, con cui ci firmiamo, non usiamo mai i nostri nomi.
Questo è l’ultimo giorno di Triennale, dopo circa 12 giorni di programmazione continua, com’è andata? Che risposta avete avuto dalle persone che sono entrate e hanno vissuto il vostro concept store?L. Innanzi tutto il contesto che ha accolto Animal Spirits è stato molto particolare, siamo stati inseriti all’interno di questa HOUSEMATES, progetto di coesistenza teatrale, con altre due compagnie che fanno altrettanti generi differenti, quindi il pubblico da un lato è stato un po’ sorpreso - perché è radicalmente diverso dal solito - successivamente, dopo il primo momento di disorientamento, quello che emerge è che il visitatore è affascinato, interessato, incuriosito, forse anche disturbato, mentre altri sono stati infastiditi. Certamente è un lavoro che non può essere catalogato nel “mi piace” o “non mi piace”ma, secondo me, sicuramente interessa a tutti. Proponendo questa continua iterazione col performer crea una situazione inusuale anche per il pubblico più abituato al teatro contemporaneo e alla performance. Bisogna, quindi, superare quel momento della fase iniziale, poi la dinamica incuriosisce anche perché sei coinvolto in prima persona, con una serie di domande. Per esempio ieri sera una signora è venuta da noi lamentando che il tutto era troppo “violento”, altre invece sono state entusiaste della possibilità di poter agire, interagire e di non essere passive in un lavoro artistico. Le forme di accettazione e integrazione di questo lavoro sono le più diverse, anche i feedback che ci arrivano da fuori ci confermano che tutti ne sono molto catturati…anche se il catturato può essere molto infastidito.
Le risposte che ricevete dal pubblico le archiviate?L./M. No, il farsi della performance è totalmente in live ed è assolutamente effimero, nel senso, è una “relazione” che nasce tra il visitatore e il performer e finisce li. Muore quando te ne vai. Non rimane traccia se non nella memoria, è un’esperienza. Inoltre, essendoci questa possibilità di acquistare è possibile portarsi via qualcosa che resista nel tempo e continuare ad avere, attraverso alcuni prodotti, un rapporto con noi. Ci sono, quindi, delle forme di sopravvivenza legate anche agli oggetti, ma tutto è estremamente personale – il proprio vissuto e ,eventualmente, quello che è stato comprato – rimane solo l’ immaginario del visitatore e il nostro.
Mi potete parlare brevemente del vostro processo creativo per Animal Spirits? Chi o che cosa volevate raggiungere?  M. E’ nato dall’esigenza di lavorare “sull’animale politico”, il contrasto quindi tra passività e attività nella sfera civica e politica. Poi, ovviamente, si è trasformato, stratificato, si sono aggiunte situazioni, è diventato più ambiguo - cosa che in realtà ci piace molto - perché è leggibile da differenti punti di vista. Sicuramente volevamo interrogare questo aspetto del contemporaneo, il ruolo dell’individuo nella polis. L. Oltre a questo, c’è l’interesse dell’aspetto economico che viaggia sullo stesso binario, cerchiamo di articolare il lavoro all’interno di dinamiche e forme economiche. Ecco perché abbiamo scelto di trasformarlo anche in un’esperienza di “shopping”. Questa è un'altra linea di ricerca che si affianca a quella più politica - anche se sono un po’ la stessa cosa - il tema economico in realtà ci ha dato poi la forma principale, quella del concept store.
Centrale Fies è un vostro sostenitore in questo progetto, mi raccontate come si è sviluppata la collaborazione?M. E’ nata circa due anni fa, con il lavoro precedente. La nostra associazione ha sede a Trento e quindi condividiamo il territorio, poi ci sono stati dei periodi di residenza che hanno portato alla nascita di WHITE NOISE MACHINE, presentato al festival. La collaborazione continua a crescere e a strutturarsi per una grossa spinta di interessi comuni, per il tipo di ricerca e per il tentativo di sostenibilità anche economica, all’interno della performance - che in qualche modo si autoalimenta - un concetto che interessa molto a Centrale Fies; questo fattore legato al lavoro sulla comunicazione, che è molto forte, creano dei punti in comune che stanno trasformando la collaborazione - che si è costruita sulla base di questo lavoro - in una dimensione più progettuale, sempre in crescita!
Guardando un po’ nel vostro archivio, i lavori precedenti, ho notato che c’è un filo conduttore comune, quello che vi porta ad indagare spesso sull’individualità della persona/spettatore (penso al Totem personale, al concetto di riassemblarsi/ricollocarsi in Metamorphosis Mood ad E.M.A l’archivio dei ricordi per la memoria collettiva) è possibile?L. Si lavoriamo molto sul concetto relazionale che, se vogliamo, è il terzo filone dei nostri lavori - meno tematico e forse più formale - per noi molto importante che è la ricerca su delle forme di interazione, delle direzioni per la performance dal vivo, la ricerca di alcune modalità diverse di integrare pubblico ed opera d’arte. Il tentativo di coinvolgere direttamente lo spettatore nasce da questo, da una ricerca relazionale dalle forme più complesse, che non si limita ad incontrare il pubblico ma tenta di inserire il visitatore in una dinamica in cui deve agire autonomamente. Inizialmente non lavoravamo proprio così, è stata un’evoluzione, in circa tre anni, che ci ha portato a sperimentare inizialmente i linguaggi più “tradizionali” legati anche al teatro fino a portarci ad un progressivo distacco.
Se doveste usare un’immagine per descrivere Animal Spirits, o il vostro animal spirits, quale usereste?M./L. Un’immagine iniziale che rimane stabile è quella dello spettatore col mitra in mano. L’abbiamo scelta perché volevamo offrire al visitatore una diversa immagine di sé, più pericolosa e più potente.  Questa è l’immagine di partenza, con tutto quello che di buono e cattivo può portare con sé, è una figura che a seconda del contesto sociale e politico può volere dire delle cose molto differenti e anche molto ambigue.Diciamo che, trovare un’immagine “unica” che rappresenti l’intero lavoro è molto difficile, perché ne abbiamo davvero tante e siamo sempre alla ricerca di visioni di questo genere, con la consapevolezza che se troviamo un’immagine che può cambiare cosi tanto in base al contesto in cui viene posta e con l’immaginario con cui viene letta allora, forse, quell’immagine è giusta.Ce ne sono poi molte altre legate al mondo animale o a quello dei bambini, anche se, sicuramente, l'iconografia del mondo animale che ci interessa di più è quella delle corna, delle ossa animali. Nella cultura primitiva c’era un profondo rispetto per l’ossatura dell’animale che era stato cacciato, lo scheletro veniva poi conservato intatto e sepolto con la convinzione che l’animale si rigenerasse. Questa è sicuramente un’immagine importante per noi, perché simboleggia il voler rispettare questo cuore primitivo che è dentro di noi e il suo rigenerarsi.
Vi rigiro la stessa domanda che ho visto postata su facebook e che ponete al pubblico: avete mai domandato come un bambino tutto ciò che volevate sapere?L./M./E. Si! Ci capita spesso adesso, almeno tra di noi si, quando lavoriamo, perché usiamo molto la domanda come metodo di lavor e di ricerca.
Invece tra di voi, quali sono i rispettivi ruoli? Chi fa che cosa?L. In realtà abbiamo una divisone del lavoro a posteriori. Chiaramente ognuno di noi ha degli interessi e degli approcci al lavoro diversi. Io sono molto legato alla ricerca per immagini, ho bisogno di vederne un sacco, tanti video, Mara ha bisogno di leggere, Elisa è molto a metà tra le due cose, ha bisogno di sentire le cose in prima persona, per questo scrive. Quindi io guardo, Mara legge, Elisa scrive. M. In realtà poi ognuno di noi è incline a seguire determinate cose, chi la progettazione dello spazio, chi l’aspetto dei testi e della comunicazione, chi la parte tecnologica ecc. E. Abbiamo un ordine di lavoro ma è ancora troppo caotico, vorremo che fosse più ordinato ma in realtà è molto difficile che questa cosa arrivi a strutturarsi, prevede in origine un caos iniziale con cui conviviamo.
Ultima domanda: com’è la vostra giornata tipo?L./M./E. Iniziamo la mattina con leggere tantissime e-mail che poi ci strutturano la giornata!A parte questo, la giornata tipo è sempre molto diversa, molto dipende se siamo in giro oppure se stiamo lavorando a un progetto, quindi possiamo stare ore davanti al monitor oppure bazzichiamo alla ricerca di cose più improbabili come teschi, maschere anti gas, dipende da cosa uno ha bisogno di fare!Poi, solitamente, almeno una volta alla settimana ci riuniamo per fare un punto della situazione visto che abitiamo in posti differenti e ci dividiamo tra Berlino e Trento, infatti skype è eternamente acceso!Quindi, iniziamo la giornata davanti al computer e la finiamo…davanti al computer!

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