Chiamami ancora

Da Maddalena_pr

CHIAMAMI SEMPRE. ENTRACI TUTTA, IN QUESTA PAROLA MONGOLFIERA, CHE QUANDO PARTE SALE. CHE OVUNQUE PARTA, VOLA.

Il primo passo è un gesto chiaro. Prima non c’era, barcolli avvinghiata alla mano di tua madre. Un dito stretto come una morsa straripante: di bene, di bisogno, di importanza. Poi succede: come accendere la luce, un clic netto. Un piede avanza, lascia indietro l’altro, senza attaccarti. Magari cadi subito dopo, ma l’hai fatto. Il primo passo è un atto inconfondibile.

Le parole, invece, nascono piano. Si formano come ombre nel vento, chiaroscuri balbettati, sillabe che dindinnano.
Un giorno credi di aver sentito una parola distinta, il giorno dopo la cerchi e non la trovi. Ma hanno una magia che il passo non possiede: sono una novità ogni volta. Le prime le annoti su un foglio. Poi ne arriva un’altra, un’altra ancora. E ognuna porta con sé un piccolo stupore.

Il primo ragazzo con cui uscii, tanti, tantissimi anni fa, aveva già avuto altre storie. Ho paura a baciarlo, penso alla mia inesperienza. Gli dico, una sera: “Per te non è lo stesso. Tu sai già tutto, e hai già sentito questo batticuore.” Non poteva amarmi come lo amavo io. Non poteva respirare confuso, l’emozione che sospende il fiato, le notti sveglio a non sciupare nulla, a raccogliere immagini col canestro del pensiero.
Mi disse che non era vero. Ogni volta è come la prima.
L’ho capito molto tempo dopo, nelle storie che sono seguite, che avevano vesti leggere, altri colori, altri nomi e desideri. Anche se il cuore è lo stesso.

Lo capisco coi figli. Dio solo sa quanto è vero coi figli.
Il ma-ma biascicato di mesi fa, l’avevo intuito, era un labiale in preda al caso, o un tentativo vagabondo. Ti rinfacciavo quel pa-pà chiaro e sicuro. Ma nella tua testa fitta fitta come un prato giovane, laboriosa e veloce, ti stavi preparando.

La prima volta, una delle prime, il tuo appello “Mamma!” è un’esclamazione: mi raggiunge mentre sto appesa come un cencio sulla parete di arrampicata di Dolonne. Arrivi coi fratelli e i nonni. Papà mi fa sicura da sotto, accanto alla guida. Tenti la corsa, quella corsa che vorrei tu non perfezionasti mai, perché traballa come tutti dovremmo traballare nella vita: con l’entusiasmo che butta avanti, che obbliga oltre le paure, che sfida l’equilibrio. La voce la lanci nello stesso modo. Sei minuscola, come Patrick e Sarah, vi guardo dall’alto e vi trovo giganteschi, da qualsiasi prospettiva.

“Sta volta ti ha proprio chiamato!” commenta mio padre.
Ero la cosa più bella che tu avessi mai visto e desiderato, nelle tue semplici sillabe gemelle.

Da lì, in breve, nascono tutti i tuoi mamma: quello descrittivo, quando punti un oggetto per dire che mi appartiene, ha un tono sicuro, fiero, di chi sa il fatto suo. Quello appellativo, per chiamarmi, che già somiglia all’intonazione che avrai crescendo, che tutti abbiamo quando chiamiamo qualcuno. Quello implorante, in braccio alla stanchezza, quando cerchi la coccola: sembra un lamento all’orecchio ingenuo. Ma è una piccola preghiera che racchiude una lode. Quello esclamativo, come a Dolonne, figlio della sorpresa, dell’impazienza, dell’eccitazione: suona come campanelle. Quello dichiarativo, uno dei più squisiti che si possano assaporare nella vita: nasce dal nulla, non ha ragione, non ha preavviso. Vieni, mi abbracci le gambe, oppure la spalla, sorridi e dici il mio nome: rotondo, pieno, dolcissimo. In un modo che è come riassumerci dentro tutto quello che sei e che io sono per te. Somiglia al ti amo degli innamorati. È l’incanto che fluisce da sé quando l’amore trabocca.

Di una sola parola fai cento volte musica. E, non contenta, ironica come nessuno ho mai visto, ora la canticchi anche, infilando le mie sillabe nel motivetto del tuo amato, tipico e immancabile Twinkle twinkle little star.

Chiamami sempre, soffiando dentro alle mie lettere come in un flauto. Soffiando dentro gonfiale, poi entraci tutta, in questa parola mongolfiera, che quando parte sale. Che ovunque parta, vola.