Annullare la condanna a 16 anni inflitta ad Alberto Stasi e celebrare un nuovo processo. Queste le richieste del sostituto pg di Cassazione, Oscar Cedrangolo, nell'ambito del processo davanti alla Suprema Corte sull'omicidio di Garlasco. Secondo il magistrato vanno accolti sia il ricorso della procura generale che quello della difesa dell'imputato e, dunque, va annullata con rinvio la sentenza di condanna emessa dalla Corte d'assise d'appello di Milano il 17 dicembre dello scorso anno, in sede di appello-bis.
La requisitoria del Pg
Il procuratore generale Cedrangolo nella sua requisitoria ha sottolineato «la debolezza dell'impianto accusatorio», che ha portato alla condanna. Nell'articolata relazione ha scandagliato punto per punto gli indizi che hanno portato la corte d'appello di Milano lo scorso anno, dopo il rinvio della Cassazione, ad emettere la condanna. «In questa sede non si giudicano gli imputati ma le sentenze. Io non sono in grado di stabilire se Alberto Stasi è colpevole o innocente. E nemmeno voi» ha detto il pg rivolgendosi al collegio, «ma insieme possiamo stabilire se la sentenza è fatta bene o fatta male. A me pare che la sentenza sia da annullare». Il pg ha sottolineato che a suo avviso «potrebbero esserci i presupposti di un annullamento senza rinvio, che faccia rivivere la sentenza di primo grado» e quindi l'assoluzione di Alberto. Ma il procuratore ha sottolineato come la prima sentenza della Cassazione dell'aprile 2013 abbia voluto «ascoltare il grido di dolore» dei genitori di Chiara Poggi nel chiedere di trovare l'assassino della figlia: «Ho apprezzato lo scrupolo della Cassazione, quando dopo le due assoluzioni ha chiesto un nuovo giudizio. E vi chiedo di concedergli lo stesso scrupolo». Il pg ha quindi suggerito che si dispongano «nuove acquisizioni o differenti apprezzamenti» ma ha poi precisato che «l'annullamento deve essere disposto sia in accoglimento del ricorso del pg, sia di quello dell'imputato. Perché se Alberto è innocente deve essere assolto, ma se è colpevole deve avere la pena che merita».