"Chiedi alla polvere" di J. Fante

Creato il 24 febbraio 2011 da Bens
Los Angeles fa schifo, la gravità della sua malinconia ti si aggrappa al collo fino a piegarti e a costrngerti a raccogliere con la bocca la sabbia e la polvere trasportata da venti oceanici. Los Angeles è una bugia, le tette siliconate strizzate in aderenti abiti da sera sono un microcosmo galleggiante nelle putride paludi del disagio. Los Angeles ha sputtanato la storiella della mobilità sociale e mandato a quel paese Tocqueville ormai da tempo. Los Angeles è una città per persone sporche e squallide come la stanza di Arturo Bandini o come la macchina sgangherata di Camilla, è una città acida come il caffè al Columbia Buffet e malata come il corpo tubercolotico di Sammy.
In "Chiedi alla polvere" L.A. gioca un ruolo passivo, ma la sua presenza oscura si insinua in ogni recondito anfratto: è lì, in ogni pagina, silenziosa, mai distratta, regale nella sua decaduta magnificenza come la Roma dilaniata dai barbari.
E' nella desolazione delle sue strade che si muove Arturo Bandini, scrittore in cerca di gloria e di un'idea, lacerato da un amore non corrisposto, ambiguo, doloroso, strano. E' su questo cuore spezzato che cammina Camilla, che ama un altro, che non la vuole. C'è più desolazione che amore in questo libro, Arturo è un disancorato cronico che legge in Camilla un ostracismo definitivo, la riprende per i capelli lunghi e neri, nel tentativo di salvarla dalla vertigine del dolore. E' il tentativo di salvare anche se stesso.
Arturo Bandini si risolve nella pubblicazione del suo primo manoscritto, partorito grazie a quel fastidioso impasto di cattolicume misto a peccato che genera senso di colpa espiato nella creazione di un libro, che ha l'ambizione di mettere ordine nel calderone di un casino. Ma Arturo non risolve Camilla, persa nella follia clinica, risucchiata dal deserto in una fredda notte invernale. La difficoltà di superare un'educazione pregna di fetido cattolicesimo è tangibile fino a un certo punto, poi Fante se la scorda un po' per strada (prima di me, lo aveva notato Alessandro Baricco che mi sta notoriamente sui coglioni, quindi immaginate il mastodontico sforzo dell'ammissione nella concordanza delle sensazioni): mi spiego meglio, per una scopata random succede il terremoto (geologicamente parlando), nel quale Bandini legge una punizione tolstojiana, e poi? basta così, a meno che il tentativo salvifico verso Camilla non nasconda una trasposizione moderna di Gesù. In fondo Camilla non fa una bella fine, e noi non siamo messi meglio.
"Chiedi alla polvere" è un libro bello perchè cresce, cambia, matura, pagina dopo pagina. Bandini è un panta rei, ma è meno universalmente accolto di altri personaggi portatori di problematiche più comuni, facilmente esportabili. Arturo è un italo-americano in un periodo un po' rognoso, è un cattolico in una federazione di quaqqueri con deliri calvinisti. Bandini risponde ad una mia personale esigenza: confrontare la mia serafica imperturbabilità (con retaggi embrionali) alle evidenti incapacità di vivere e stare al mondo di un chiunque altro, senza però l'accondiscendenza dei disadattati di mezzo globo, mantenendo quindi la goffaggine dell'emarginato condannato all'incomprensione mondiale. Mi auguro sia chiaro. B.

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