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PC
Genere: Gioco di Ruolo Giapponese, Piattaforma
Sviluppatore: Ubisoft Montréal
Produttore: Ubisoft
Distributore: Ubisoft
Lingua: Italiano
Giocatori: 2
Data di uscita: 30/04/2014
Assassin’s Creed, Far Cry 3, Watch_Dogs, sono soltanto alcuni dei titoli per cui Ubisoft Montreal è stata apprezzata e quasi sicuramente continuerà ad esserlo, ma col recente Child of Light ha abbandonato la sua normale routine per proporre qualcosa di diverso dal solito, che emozionasse per componente artistica, in quello che a tutti gli effetti è un chiaro omaggio alle fiabe e ai JRPG degli anni ’90. Un titolo, rilasciato esclusivamente in formato digitale, non adatto a tutti e che tenta di risvegliare le sensazioni un po’ assopite dei videogiocatori con qualche anno in più sulle spalle, cresciuti a pane e JRPG, assieme a titoli come Grandia, a Final Fantasy e via dicendo. Child of Light non fa altro che prendere un po’ qua ed un po’ là, proponendosi in una veste grafica sbalorditiva grazie all’ottimo UbiArt Framework Engine già ammirato negli ultimi due platform dedicati a Rayman; acquerelli, tratti a matita, rime e battaglie a turni. Tutto è al suo posto, tutto sembra perfetto. Sembra, appunto.
Un nobile austriaco depresso, causa la scomparsa della sua dolce metà, ha in mente un nuovo sodalizio. È però affascinato dall’unica donna che nasconde l’inganno e presto il suo cuore andrà in affanno. Padre di Aurora, una fantastica bimba dai capelli rossi, ha paura di perderla perché malata, quando d’un tratto ella scompare, all’interno di un mondo magico e strano. È il regno di Lemuria, al quale è legata, per un destino grandioso e complicato: andranno recuperati il Sole, la Luna e le Stelle, per salvare il regno (e non solo) dalla Regina Nera, soltanto così tornerà il giusto clima di pace e di quiete.
Brevemente, è questo l’incipit che smuove le acque in Child of Light, mentre pian piano si viene a conoscenza del fantastico mondo onirico di Lemuria, che trova riferimenti cinematografici e letterari in tante opere. Si narra la storia di Aurora, immersa in un mondo parallelo, con una spada e tanto desiderio di riabbracciare suo padre; e poi ci sono i cattivi, quelli più tosti alla fine, tutti gli altri disseminati un po’ ovunque, a contrastare il nostro obiettivo, di estrema importanza. Infine Igniculus, una lucciola blu, che presto avrà modo di rivelarsi assai utile allo scopo di Aurora, così come i comprimari, con la voglia di unirsi alla giusta causa per dare una mano nelle fasi di combattimento. Child of Light è sostanzialmente un gioco ibrido, che tenta di amalgamare al meglio le meccaniche di un platform bidimensionale a quelle di un gioco di ruolo; al giocatore è concessa libertà di movimento, di esplorare in lungo e in largo le location di gioco, cosparse di scrigni e di polvere di stelle, piccoli enigmi ambientali e rivelazioni, sulle quali torneremo a tempo debito. Meccaniche platform solite nel genere, molto precise tramite ausilio di un gamepad ed un po’ meno tramite tastiera, alle quali si uniscono dopo poco due elementi essenziali durante tutta l’avventura: la presenza della piccola lucciola Igniculus e la possibilità di volare. La prima, utile per accecare nemici disseminati nel gioco, qualora volessimo gustarci appieno le fasi platform e non ritrovarci costretti a battagliare, oltre ad avere una utilità strategica nelle fasi di combattimento che approfondiremo più avanti; la seconda, segna l’ingresso in gioco di una meccanica che di fatto semplifica notevolmente il superamento di barriere ed ostacoli che compongono le lande di Lemuria ed avvicina ulteriormente tutta la produzione a quel clima fiabesco tanto ricercato dai ragazzi di Ubisoft Montreal. Come dicevamo, ogni settore geografico di Lemuria contiene un numero specifico di scrigni, polvere di stelle e rivelazioni; si tratta dei soli collezionabili che vanno ad influenzare il fattore rigiocabilità, a dir la verità molto basso, considerando che nella nostra prova siamo riusciti a portare a termine il videogioco in appena nove ore a livello difficile, raccogliendo tutte le rivelazioni (scritti che aggiungono qualche particolare alla storia) e l’ottanta percento del totale tra scrigni e polvere di stelle, contenuta in particolari piante fluorescenti. All’interno degli scrigni troveremo sfere di potenziamento per le statistiche dei nostri personaggi, pozioni curative, di ripristino del “mana” e così via, che torneranno assai utili nelle fasi di combattimento, perfino troppo per la verità. Sì, perché Child of Light è tutto tranne che un titolo difficile da portare a termine al livello di difficoltà base (quello normale, NdR), che non dona sfida, appiattendo le fasi di combattimento e l’interesse verso la storia di Aurora ed amici. A tal proposito, suggeriamo di impostare immediatamente la difficoltà più alta nel gioco, grazie alla quale la componente strategica e tattica degli scontri a turni farà finalmente capolino, rendendo quasi tutti gli scontri (quelli contro i boss di sicuro) molto interessanti, anche se in un paio di circostanze vi troverete a dover fare i conti con problemi di bilanciamento.
Combattimenti che ricordano molto quelli di Grandia, che ci vedranno affrontare gruppi di massimo tre nemici dal design spesso accattivante e con un paio di mosse speciali a corredo, e le abilità di Aurora – un paio di attacchi speciali con la spada e legati al potere della luce – unite a quelle di Igniculus, tramite cui potrete curare il vostro party o accecare i nemici per rallentare la loro corsa nella barra d’ordine di azione posta in basso, donano sufficiente enfasi, senza però convincere del tutto. Partiamo innanzitutto dalla possibilità di inserire nel proprio party soltanto due personaggi tra tutti quelli sbloccati nel corso dell’avventura, scelta discutibile, e successivamente del fatto che il moveset di ognuno di essi risulta essere a dir poco limitato; non solo, perché sia la skill tree che il crafting degli oculi appaiono superflui e poco utili. Avanzando di livello, otterremo un punto abilità da spendere nell’albero abilità presente per ogni personaggio, che effettivamente influenza minimamente le statistiche dei personaggi nella prima run, piuttosto si rende utile nella seconda, se deciderete di iniziare la classica “nuova partita+” con nemici più forti di quelli incontrati, ripartendo con il party di eroi utilizzato fino a pochi instanti prima, quindi di livello già importante. Allo stesso modo gli oculi, da craftare associando pietre di vario colore raccolte negli scrigni, che potremo poi utilizzare come equipaggiamenti attivi del nostro party per avere qualche punto in più di vita, maggiori possibilità di eseguire un colpo critico e così via; caratteristica che ben presto appare superficiale e poco sviluppata, non portando ad effettivi vantaggi in battaglia, che avremmo magari ottenuto grazie all’equipaggiamento di armi speciali poste all’interno degli scrigni di cui sopra. Manco a dirlo, di armi lì dentro non ne troverete affatto. Queste imprecisioni e leggerezze finiscono così per rendere un po’ meno apprezzabile anche l’esplorazione in sé, dato che la raccolta di cristalli costituisce buon parte del contenuto di ogni singolo scrigno inserito in-game, a maggior ragione se si tiene conto dell’enorme presenza di stanze segrete piene di inutili bottini, che invece avrebbero potuto portare il giocatore a sbloccare anche del materiale extra (perché no?) come artwork, immagini, tracce audio, come i ragazzi di Frozenbyte – per fare un esempio – fecero con Trine 2. I combattimenti, viste le circostanze, stancano presto, tanto che la volontà comune diverrà quella di saltare tutti gli scontri casuali per cimentarsi solo ed esclusivamente in quelli obbligati, contro i boss, e ciò è possibile anche grazie alla penuria di quest secondarie – legate perlopiù al reclutamento di quelli che saranno i componenti del nostro party – e ad una mainquest di certo non longeva per il genere RPG, che può però esser rivalutata tenendo conto del costo piuttosto esiguo del videogioco.
… DI COME RAGGIUNGO LA GLORIAA quando suddetto bisogna aggiungere ulteriori dettagli utili ad inquadrare meglio la qualità della trama e dei personaggi. L’impostazione dei dialoghi in rima ed il setting fiabesco ci hanno colpito da principio, quando i primi passi in Lemuria erano accompagnati da fasi platform riuscite ed accattivanti soprattutto per le ambientazioni in cui si era immersi, ma subentrate le prime battaglie a turni e superata la prima ora di gioco c’è stato un graduale calo di interesse, complice una trama sì scorrevole ma frivola, leggera, con pochi alti (all’inizio ed alla fine del racconto) e tanti bassi che ne costituiscono la parte più corposa; anche i brevi dialoghi scritti in rima e non recitati – fatta eccezione della manciata di cutscene doppiate – per quanto adatti, come impostazione, al mondo onirico di Lemuria, appaiono superficiali, spesso privi di dettagli di cui si sente la mancanza, che portano così ad una sorta di convivenza forzata tra il party di “eroi”: il nostro compito sarà quello di aiutarli coi loro problemi, prima di reclutarli, ma i ragazzi di Ubisoft Montreal non hanno fornito molti spunti di contatto, utili alla conoscenza approfondita ed alla comprensione dei loro caratteri, che avrebbero reso il gruppo più affiatato, soprattutto agli occhi del videogiocatore, obbligato a rimanere per lunghe fasi di gioco privo di spunti di trama significanti.
All’impossibilità di conoscere a fondo i chiamati in causa si associa anche un altro aspetto, ben più importante: la crescita, o meglio la maturazione, degli stessi. A partire dalla protagonista, Aurora, l’avanzare della trama non porta ad una necessaria – almeno a nostro avviso – maturazione del suo personaggio, che cresce sì, in altezza ed età, ma non dà, così come il party ad ella affiancato, l’impressione di crescere caratterialmente, di maturare per l’appunto. La vedremo suonare il flauto per confortare amici tristi, la sentiremo spesso in pensiero per le sorti del padre, ma non si avrà mai la netta percezione che da piccola bimba spaesata e dimenticata all’interno di un mondo onirico diventi gradualmente una piccola bimba, donna o ragazzina, matura e cosciente. Un passaggio che arriva di colpo nel finale di gioco, nelle battaglie finali anzi, alle quali si anticipano però i soliti dialoghi striminziti ed evasivi, in rima. Segno che l’impostazione scelta dagli sviluppatori, in termini di presentazione più che altro, ha portato ad un racconto che appare forzato in più d’una circostanza; i dialoghi rimati sono così minuziosamente pensati per la realizzazione della rima successiva che spesso il contenuto appare stagnante, opaco, fine a se stesso, influenzando il ritmo della storia, pacato e scialbo per grandi tratti, che avrebbe dovuto osare di più in tal senso vista la scarsa originalità di tutte le vicende narrate. C’è davvero molto poco da salvare in questo contesto, e il lungo andare rende difficile e un po’ monotone e disinteressate le fasi di gioco; per tal motivo, riteniamo una impostazione del genere più appropriata in ambito platform, al cui genere non si richiedono tanti dettagli a livello narrativo, anzi è ormai consuetudine procedere proponendo il solito banale pretesto, piuttosto che per quelle rifacenti ai classici JRPG d’un tempo, in cui trama, dettagli e meccaniche non possono permettersi di essere superficiali o malamente abbozzate. In tal caso, l’ibridazione di più generi videoludici ha portato ad un risultato complessivamente buono, ottimo dal punto di vista platform e sufficiente, tendente al discreto, in ambito ruolistico, che con più attenzione avrebbe consentito a Child of Light di ambire a traguardi ben più ambiziosi in svariati aspetti, oggettivamente parlando.
Dove il titolo di Ubisoft Montreal eccelle è nel comparto grafico, grazie all’utilizzo dell’UbiArt Framework già ammirato in tutto il suo splendore negli ultimi due capitoli della serie dedicata a Rayman. Ogni tavola, scrupolosamente realizzata a mano, emana nei suoi tratti a matita stile da vendere, che si amplifica per mezzo di colorazioni ad acquerello, fantastiche e che ben contribuiscono all’instaurazione di quel clima da fiaba a cui si è ispirato, riproponendolo in ottima maniera quindi, il team di sviluppo. Un engine che non ha faticato, ancora una volta, a mostrare ciò di cui è capace, in termini di leggerezza, fluidità, affidabilità, che associa al “Child of Light videogioco” un “Child of Light opera d’arte”, quadri e dipinti statici a cui si uniscono i movimenti dei protagonisti e dei nemici di gioco, per un risultato esaustivo e delizioso da questo punto di vista. Non da meno le animazioni, così come sono apprezzabili i brevi tempi di caricamento (abbiamo effettuato la prova del gioco in versione PC, che richiede un profilo uPlay per essere giocato), ed infine un comparto sonoro altrettanto esaltante. Ad opera della cantante canadese Coeur de Pirate (download soundtrack via Bandcamp), con la collaborazione dell’Orchestra Filarmonica di Bratislava, il tema musicale principale ci rende partecipi dell’avventura nel magico mondo di Lemuria, mentre brani secondari, mai banali anche se a volte un po’ ripetitivi, fanno il resto. Ottima anche la localizzazione in italiano, sia per quanto riguarda i testi tradotti alla perfezione che per i piccoli spezzoni di doppiato.
Child of Light è un titolo che trae ispirazione dai classici JRPG del passato, ma non riesce a raggiungerne appieno gli stessi livelli per mancanze ed aspetti superficialmente proposti dal team di Ubisoft Montreal, alla prima esperienza nel genere. L'esplorazione ed il fantastico mondo di gioco, dotato di un'estetica impressionante, mettono a lustro il motore di gioco; il fedele alleato, Igniculus, è una valida aggiunta, dona utilità strategica in singolo e in cooperativa addirittura, ma è evidente la mancanza di meccaniche robuste e di bontà negli aspetti peculiari per un gioco di ruolo. La trama si mostra raramente interessante e di certo l'avanzar per rime dei brevi dialoghi non aiuta a renderla profonda come ci si aspetterebbe, i protagonisti e relativi comprimari non crescono, non donano quel qualcosa in più mentre si assiste allo sviluppo della storia; tuttavia, in ambito platform questo passa in secondo piano, non impedendo a Child of Light di apparire come una rappresentazione visiva d'un mondo da fiaba accompagnato da rime e venduto ad un prezzo decisamente onesto. Una rappresentazione elegante, piena di stile, un'opera d'arte graficamente e stilisticamente parlando, certo, ma non abbastanza ricca, profonda ed allettante come esperienza ruolistica. C'è stata la volontà di metterci cuore, passione, e lo si è visto in particolar modo nella creazione del comparto audiovisivo e dell'esperienza platform, ma sarebbe servito anche altro: la scelta di rifarsi ad un genere sul quale non si era mai lavorato, quello dei giochi di ruolo in generale, non è stata così saggia da parte del team di Montreal, checché se ne dica, ma globalmente parlando, anche in virtù di un prezzo di lancio così competitivo, il videogioco non può che essere consigliato. ZVOTO 8