“Canal Street è terra di frontiera, di qua gli italiani di Little Italy di là i cinesi di Chinatown: insulti, scontri e lotte tra piccole bande di teppistelli. I grossi boss dell’una e dell’altra parte però operano oramai in altre zone e per interessi più rilevanti, e sono perfettamente d’accordo nel tenere a freno i balordi di mezza tacca. Sfortunatamente una sera Tony incontra in discoteca Tyan, una graziosa cinesina, che ha un fratello capo di una gang…”
Violenza, lotta per il controllo del territorio, gli angoli bui ed abbandonati di Canal Street, i neon delle insegne che pullulano di riferimenti alla celebre gastronomia italiana: spaghetti, maccheroni, pasta, pizza, vino, lasagne, carbonara… Abel Ferrara conosce perfettamente la materia che racconta, quella del ghetto etnico in continuo fermento, rappresentato lucidamente nei lati più contraddittori del proprio folklore: i gatti che vagano tranquilli nelle cucine dei ristoranti cinesi, gli interni pacchiani delle botteghe italiane (colme in ogni dove di madonne e santini), il maschilismo becero che accomuna ambedue le realtà. L’anima cinematografica è forse quella di Scorsese, senza tuttavia quell’eccessivo spirito nostalgico e soprattutto senza quell’accademica maniacalità nella messa in scena, che appesantisce l’inquadratura falsandone il senso. China girl, anche a causa dei limiti di budget, è un omaggio esplicito e diretto all’umanità vera dei due famosi quartieri newyorkesi, punto d’incontro (e talvolta collisione) di culture tanto diverse quanto compatibili, dove l’amore di due giovani travalica prevedibilmente tutti gli interessi ed i vecchi schemi precostituiti. Perfetto l’intero cast attoriale, su tutti i due giovani protagonisti Richard Panebianco (lo rivedremo in Nato il Quattro Luglio di Oliver Stone) e la sensuale Sari Chang.
Nelle mani di un qualsiasi sceneggiatore di Hollywood sarebbe stata una favola priva di spessore e credibilità. In questo caso, un’ottima storia d’amore appassionata e multietnica.
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