China Independent Film Festival 2014: il redivivo

Creato il 04 dicembre 2014 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Dopo un’annata in sordina a causa di una serie di rigide costrizioni, il China Independent Film Festival è tornato a popolare l’Università di Nanchino con una serie di proiezioni e attività che si sono svolte nell’ex-capitale dal 15 al 19 novembre.

L’evento in realtà aveva aperto le danze con una sezione di video sperimentali in una sede staccata, Xiamen. Il festival infatti si è proposto quest’anno come una selezione delle meglio produzioni filmiche su tutti i fronti: dallo sperimentale al cortometraggio, passando per fiction e documentario. Ad amplificare l’importanza formale e pratica di questa ristretta cerchia di fortunati prodotti, il fatto che per tutto il 2014 non si sono visti numerosi festival indipendenti. Quelli che c’erano sono stati soffocati o hanno perso l’identità stessa di festival o l’affluenza.

Il programma di Nanchino ha inaugurato con la premiere di un prodotto molto atteso in Cina: si tratta di Blind Massage di Lou Ye. Un film che soltanto grazie al successo ottenuto alla Berlinale di quest’anno, e dopo una lunga attesa, ha potuto conquistare il tanto sudato “Drago Rosso” (ovvero, il sigillo di censura). Naturalmente, a scapito di alcune fondamentali scene romantiche, velatamente erotiche, che sono state rimosse proprio come un dente cariato. Lou Ye, presente all’anteprima, ha poi lasciato Nanchino in direzione Taiwan, dove al 51° Taipei Golden Horse Awards si è portato a casa ben sei premi, tra cui Best Feature Film.

La selezione del 11° CIFF si è rivolta in particolare a giovani esordienti, pochi i registi di rilievo presenti. Malgrado la scelta di limitare l’afflusso di nomi potenzialmente scomodi (anche Cui Jian era virtualmente in elenco con il suo Blue Sky Bones, premiato a Roma), un paio di atti censori dell’ultimo minuto non sono mancati. Il primo ha interessato il film di Wang Wo, The dialogue . Con un intervento via Skype del Dalai Lama e un altro dal recentemente condannato avvocato Uiguro Ilham Tothi, Wo si è garantito di essere bannato per sempre dagli schermi della Cina, sebbene il suo documentario sia un tentativo di comprendere le differenze culturali tra l’etnia Han, quella Tibetana e quella Uigura. Scampa all’oscuramento, ma viene rilegato in una sala secondaria ad invito, la mastodontica produzione di 515 minuti firmata da Wu Meng e Gao Zipeng: Shanghai Youth. Una indagine su vite che la Rivoluzione Culturale ha portato fino nel remoto Xinjiang.

A parte questi due “intoppi”, il festival si è svolto in totale tranquillità, alternando riflessioni sulla produzione cinese mainstream e indipendente, con diversi interventi e workshop. Tra i pochi registi navigati, presenti Xu Tong con il suo ultimo interessante lavoro Cut out the eyes; Gu Tao, già premiato l’anno scorso per il brillante The last Moose of Ao Lu Gu Ya, anche quest’anno torna sui monti e ci parla dell’etnia Oroqen in The solitary Mountain. Figura anche la nuova produzione di Yang Heng, che conquista il Premio della Giuria per Lake August.

Le giurie del CIFF hanno scelto poi di conferire il premio all’Opera Prima a Zhou Hao e il suo noir queer dal titolo Night; Yang Pingdao, che già aveva sorpreso positivamente l’anno scorso, ottiene il riconoscimento più di pregio per i lungometraggi. Il suo film, The river of life, è un racconto straordinario che intreccia documentario e finzione, con perle di sottile auto-ironia sulla società cinese moderna particolarmente piacevoli.

Rita Andreetti

Lake August, Yang Heng, trailer


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