Anita Garibaldi
La raffigurazione della donna come allegoria della nazione intera[1], ha sempre rappresentato un elemento fondamentale nella definizione delle identità di genere all’interno della propaganda nazional-patriottica dei singoli stati europei, sulla scia del processo di creazione di identità nazionali del XIX secolo sviluppatesi dopo la rivoluzione francese e l’impero napoleonico. Questo breve articolo ha quindi l’intenzione di introdurre le lettrici ed i lettori alle logiche di rappresentazione di eroine nazionali, in un’ottica di genere. Ciò avverrà attraverso il confronto delle immagini letterarie, utilizzate post-morte dai rispettivi governi, nello sforzo di creare coesione nazionale interna, di due donne combattenti: Anita Garibaldi e Katharina Lanz.
Cominciamo senz’altro.
Nel corso del diciannovesimo secolo, il continente europeo conobbe l’intensificarsi delle produzioni letterarie, iconografiche e melodrammatiche atte a definire la discendenza parentale delle varie identità nazionali; definendo così, attraverso il sangue, i connotati razziali di ogni singolo popolo. Questa colossale opera di revisione storica adottata da buona parte dei letterati europei, nonostante si basasse esclusivamente su una ricostruzione in chiave patrilineare, non poté fare a meno di mettere in rilievo figure femminili che garantivano il perpetuarsi delle discendenze nazionali[2]. Nacquero così, da un lato, figure di donne che facevano muovere l’intreccio narrativo, quelle che, come Lady Rowena nell’Ivanhoe (1819) di Scott o Berta von Bruneck nel Guglielmo Tell (1804) di Shiller, devono essere difese, raggiunte, inseguite, rapite, riportate a casa o sposate, a dispetto degli ostacoli macchinati dai nemici della nazione[3].
Dal lato opposto a queste donne, che sono il fine attraverso cui si sviluppano le narrazioni, subendo il corso degli eventi, vengono a formarsi figure femminili le cui caratteristiche di genere tendono ad essere trasfigurate se non a scomparire del tutto. La caratteristica principale di queste ultime è la capacità di combattere alla pari degli uomini per la difesa del territorio nazionale. Questo “privilegio” di partecipare ad attività esclusivamente maschili, se da un lato garantiva la fuoriuscita dalle logiche matrimoniali e di riproduzione, dall’altro costringeva queste ultime a trasformarsi in esseri per metà maschili e metà femminili: degli androgini. Di queste donne-amazzoni Giuseppe Garibaldi a darci più esempi letterari attraverso le sue Memorie ed i suoi romanzi. Troviamo così ne I Mille (1874) Lina e Marzia che, oltre ad essere travestite da uomini, combattono tanto animatamente da confondere persino il generale:
Ma chi furon quei due giovanetti che nel gruppo dei più arditi tra gli Argonauti, volevan precederli verso il nemico, gareggiando a chi doveva affrontarlo pel primo?
Essi son di diverse forme, l’uno pare un figlio di Germania, colla sua capigliatura bionda, che non poteva nascondere un sonetto a cui s’atto[r]tigliava graziosamente una fascia di seta; l’altro bruno di volto e di capelli somiglia più tosto ad un meridionale italiano. Ambi imberbi, ciocchè li mostra giovanissimi. La foggia del vestire è quasi identica, alquanto più accurata del resto dei Mille, ma modesta. E veramente non v’era sfarzo nella famosa schiera.
Giovanissimi sì! Ma il moschetto lo maneggiavano da veterani; e siccome tali armi erano pure armi regie, di cui accennammo qui sopra, il crik dei colpi falliti eran numerosi e la speranza della vittoria riposava sull’innestata bajonetta[4].
Simile fraintendimento lo ritroviamo nel romanzo Cantoni il volontario (1870), dove Ida per seguire il suo amato è costretta a nascondere la sua identità sessuale:
Il giorno in cui i Volontari di Bologna si dirigevano verso Ravenna, un ragazzo sui quattordici anni avvicinava la staffa del Comandante e diceva: «Comandante arruolatemi tra i vostri militi» – «Come vuoi arruolarti, bambino. Tu sei troppo giovine!» – E quello in uno scoppio di pianto, ma sì sentito, sì commovente da intenerire una tigre, – e certo non era una tigre il Comandante dei Volontari, – talchè mosso a compassione dell’addolorato giovinetto, rivolto al Cantoni, disse: «Ebben che venga, esso stia con Aguilan ai bagagli».
Ida, vestita da uomo, seguiva così il Cantoni ala coda della colonna, ove Aguilan trovatasi con un cavallo di rimonta del Comandante ed un mulo carico dei poveri bagagli dello stesso[5].
Donne quindi che sono costrette a trasfigurare le loro caratteristiche di genere per acquisire un’identità androgina che permetta loro la parità nei confronti degli uomini, senza che essi possano vederle come un elemento di discussione nelle distinzioni di genere che regolano la società nel suo complesso[6].
A questo riguardo un esempio ulteriore ci è dato dall’intensa rappresentazione che nel corso del XIX secolo è stata ispirata dalla figura di Giovanna d’Arco, causata soprattutto dal processo di beatificazione nel 1909. I vari scritti a lei dedicati, prevalentemente da autori maschi, tesero a depotenziare i suoi connotati femminili dietro l’armatura ed i capelli tagliati, esaltando invece i suoi valori ideali. Ella infatti è patriota, vergine, martire, santa e guerriera che guida i soldati francesi alla difesa della nazione. Tutto ciò, come farà notare Schiller nella sua Pulzella di Orléans. Tragedia romantica (1801), concesso essenzialmente dalla volontà di Dio[7]:
«Và», mi ha detto, «tu devi testimoniare per me. Devi chiudere le tue membra nel duro bronzo, coprir d’acciaio il petto delicato: amore d’uomo con la sua fiamma peccaminosa e le sue vane gioie terrene non deve toccare il tuo cuore. Il serto delle spose non ornerà le tue chiome, nessun caro bambino suggerà dal tuo petto la vita: ma più di ogni donna terrena sarai incoronata di gloria militare»[8].
Giovanna d’Arco viene dunque a identificarsi come un essere trascendentale che mette in contatto la divinità, da cui trae legittimazione, e la nazione stessa da lei incarnata attraverso i valori nazional- patriottici tendenzialmente attribuiti agli uomini:
Sento, signori, fino a che punto è grammaticalmente scorretta questa mescolanza di qualitativi maschili e femminili, ma non è quasi possibile parlare in altro modo di questa eroina che fu un eroe, di questa ragazza che è stato il nostro buon angelo, di questa creatura eccezionale che non ha pari!
È che, in effetti, Giovanna d’Arco, con tutto il suo coraggio e tutta la sua carità, tutto il suo entusiasmo e tutta la sua saggezza, tutta la sua eloquenza e tutta la sua sagacia, Giovanna d’Arco è al tempo stesso una francese ed un francese, è ben di più, è la Francia stessa![9]
Questa connessione fra donna e combattente-androgino, che fino ad ora abbiamo cercato di esporre in pochi ma significativi esempi, la possiamo ritrovare, con tutte le sua particolarità, anche in due figure che sono l’obiettivo d’analisi di questo articolo: Anita Garibaldi e Katharina Lanz. Nonostante queste donne non sembrino avere alcun elemento in comune, a partire dai luoghi di provenienza e dalle esperienze di vita, l’utilizzo post-morte delle loro figure come fondamento di unità dei rispettivi paesi (Italia ed Alto Adige) le ricollega agli stessi canoni femminili della propaganda nazional-patriottica finora descritta.
Anita Garibaldi, o Ana Maria de Jesus, nacque il 30 agosto 1821 a Morrinhos, una frazione di Laguna in Brasile. Orfana di padre, Ana, passò l’infanzia nel supportare la madre nella gestione della numerosa famiglia fino al quattordicesimo anno di età, in cui fu data in sposa al calzolaio Manol Duarte. Lo stesso anno scoppiò la rivoluzione farroupilha (degli straccioni) di cui Ana seguiva le sorti, soprattutto dopo aver conosciuto un marinaio della flotta ribelle, quel José che diventerà poi il generale Garibaldi, il quale con un approccio macho definiva fin da subito l’interesse per la giovane[10]:
La salutai finalmente, e le dissi: «Tu devi essere mia». Parlavo poco il portoghese, ed articolai le proterve parole in italiano. Comunque, io fui magnetico nella mia insolenza [ecc.][11].
Da quel fugace incontro Anita non perse mai occasione di stare a fianco del generale anche nei momenti di maggior pericolo nelle battaglie, organizzando i servizi di soccorso ai feriti, ma soprattutto combattendo ed incitando i soldati:
eccellente cavallerizza, e cavalcando un focoso animale poteva fuggire e sottrarsi al nemico; ma quel petto di donna racchiudeva un cuore di eroe: invece di fuggire, animò i nostri soldati a difendersi, e tutto ad un tratto si trovò circondata dagli imperiali. Un uomo si sarebbe arreso: essa invece cacciò gli sproni nel ventre del cavallo, e con vigoroso slancio passò in mezzo al nemico[12].
Coraggiosa più di un maschio, grande cavallerizza, animatrice degli uomini alla battaglia, Anita s’identifica così con le caratteristiche dell’amazzone che combatte; un misto tra Ida, Lina e Marzia che il suo amato generale aveva descritto nei suoi romanzi. Per completare il quadro nazional-patriottico della donna guerriera mancherebbe l’elemento androgino del corpo, il quale viene fatto rilevare proprio dal generale in due momenti “difficili” per Anita: il tradimento di Garibaldi con un’altra donna di nome Lucia[13] e l’ultima gravidanza prima della morte nel 1849. In entrambi i casi l’eroina si tagliò i capelli, ma fu soprattutto nella fuga da Roma, successiva alla caduta della Repubblica Romana, che Anita, gravida e malata, si vestì da uomo e tornò a cavalcare; recuperando così quelle caratteristiche androgine che la maternità le aveva sottratto:
L’osservazione ch’io avrei da affrontare una vita tremenda di disagi, di privazioni, e di pericoli, frammezzo a tanti nemici, era piuttosto di stimolo alla coraggiosa donna; ed invano osservare ad essa il trovarsi in istato di gravidanza.
Essa giunse in una prima casa, e pregò una donna di recidergli i capelli; si vestì da uomo; e montò a cavallo[14].
La situazione dell’amazzone brasiliana si trovava dunque costretta, davanti al suo uomo, tra due posizioni inconciliabili che abbiamo descritto precedentemente: quella della donna soggetta agli avvenimenti, che il più delle volte è anche madre in quanto deve garantire la prosecuzione della razza/popolo nazionale; e quella della donna guerriera/androgina che non può conoscere l’amore senza perdere le sue caratteristiche. Dallo scontro tra questi due simboli codificati di donna, nel momento fisico della morte risulterà vincitrice la figura della madre generatrice la quale pone fine alla fase giovanile della guerriera:
Nel posare la mia donna in letto, mi sembrò di scoprire il suo volto, la fisionomia della morte. Le presi il polso [sic]… più non batteva! Avevo davanti a me la madre de’ miei figli, ch’io tanto amava! Cadavere! …Essi mi chiederanno della loro genitrice al primo incontro![15]
Finiva così la vita di quella donna che in pochi ma intensi anni aveva saputo ricoprire, a fasi alterne, la figura della guerriera, della madre e dell’amante; caratteristiche che verranno riunite per un’ultima volta nel monumento più rappresentativo a lei dedicato sul Gianicolo: ovvero un’Anita a cavallo che impugna da un lato la pistola e dall’altro sorregge un neonato.
Ben diverse, ma sempre rispondenti alle logiche nazional-patriottiche, le rappresentazioni monumentali dell’altra eroina da noi presa in considerazione: Katharina Lanz. Dalla statua a Pieve di Lovinallongo di Josef Parschlk, del 1912, alla vetrata a mosaico nella chiesa di Springes del 1909, si può notare come la giovane ragazza indossi abiti prettamente femminili, porti i capelli legati ed impugni non un’arma convenzionale, ma un semplice forcone. Tutto ciò a far prevalere i suoi tratti di femminilità e verginità[16]. Facciamo però un passo indietro.
Il 18 gennaio 1798 il comandante austriaco, Philipp von Wörndle scrive un resoconto della battaglia avvenuta, tra le truppe austriache e francesi, nella cittadina di Spinges (Spinga in italiano) il 2 aprile 1797 in cui menziona, per la prima volta, la presenza di una giovane combattente anonima:
Si vide allora tra gli altri una serva di Spinges che stava sul muro del cimitero con la veste annodata e i capelli al vento e faceva precipitare giù i nemici all’assalto con un forcone[17].
Pochi anni dopo, nel 1802, la figura della combattente viene ripresa in un articolo del «Tiroler Almanach», omettendo un dettaglio che, con poche eccezioni, allora evocava una femminilità trasgressiva: i capelli sciolti[18]
Una contadinella, per dar man forte ai suoi compaesani ormai sfiniti, balzò allora sul muro del camposanto, si allacciò il bordo inferiore della gonna con pudore virginale e colpì tre francesi all’assalto con un forcone da fieno, facendoli precipitare dal muro che avevano già quasi completamente scalato[19].
Da quell’articolo in poi, che rappresentava una giovane/vergine, serva/contadinella, fu un continuo avvicendarsi di riferimenti letterali e artistici focalizzati nell’aggiunta di particolari, a volte anche inventati, per dare nome a questa eroina. La ricerca si concluse il 23 agosto 1870, settantatre anni dopo l’avvenimento, con un articolo del giornale «Neue Tiroler Stimmen» in cui venne svelato il nome della giovane:
Katharina Lanz, questo era il nome della fanciulla, nata il 20 settembre 1771 a San Vigilio di Marebbe. Suo padre, da tutti considerato un uomo onesto, era allora amministratore del maso zu Rost, che a quell’epoca apparteneva alle monache di Sonnenburg. […] Quanto alla vita successiva (alla battaglia) della «fanciulla di Spinges», verso la fine del 1797 o l’inizio del 1798 tornò a San Vigilio e precisamente nella parrocchia dove un prete parente di Katharina Lanz, cioè Anton Trebo, era decano. Ella rimase presso di lui in qualità di serva fino alla sua morte. Alla scomparsa del […] parente, si portò a Livinallongo, dove lavorò come perpetua e morì nel 1854 a 83 anni[20].
La comparsa del nome della guerriera in quell’anno non deve risultare casuale. Di lì a poco infatti Napoleone III dichiarava guerra alla Germania aprendo un fronte che poteva ricordare quello vissuto dalla Lanz. Venne così rinnovato il singolare patto con il cuore di Gesù che i tirolesi avevano stretto, grazie a Katharina, nel 1797 quando i francesi erano stati identificati come nemici della chiesa. La funzione di mediatrice tra il divino ed il popolo, che ricorda molto la figura di Giovanna d’Arco, la possiamo ritrovare su una lapide commemorativa eretta nel 1897 dal comune di Spinges. La lapide infatti presenta in bassorilievo, oltre all’aquila tirolese, una bandiera con il sacro cuore di Gesù incrociata con un forcone bidente a sua volta intrecciato con un ramo di quercia (simbolo di fedeltà) cui seguono le parole sottostanti[21]:
Qui combatté il 2 aprile 1797
Per Dio, l’imperatore e la patria
E per questa chiesetta
L’eroica vergine
Katharina LanzUomini, combattete per la libertà,
Non permettete che la patria venga asservita!
Per questa chiesetta, per l’innocenza
Voglio combattere io, povera vergine[22].
Anche in questo caso, nonostante che la giovane combattente non presenti elementi androgini, le sue azioni sono compiute in nome della divinità, la quale agisce solo attraverso dei corpi inviolati, quale quello delle rappresentazioni di Giovanna d’Arco. La verginità come il rapporto con il divino hanno garantito a Katharina Lanz di poter essere considerata fino ad oggi, alla pari di Andreas Hofer, un simbolo non solo di unità nazionale, ma anche e soprattutto di unità religiosa delle comunità dell’Alto Adige che tuttora persiste.
In conclusione, cosa possiamo dunque cogliere da questa piccola ed incompleta esposizione? Semplicemente potremmo arrivare a dire che buona parte delle rappresentazioni femminili partorite durante il corso del XIX secolo ed i primi anni del XX secolo siano state codificate essenzialmente da una volontà maschile di controllo dell’altro sesso. È necessario aggiungere, sottolineando con particolare enfasi, la condizione di svantaggio subita dalle donne che s’impegnarono in attività strettamente riservate agli uomini. Donne espropriate dei lineamenti di genere per assumere, come in un gioco di maschere, caratteristiche sovraumane e mistiche per non essere identificate nella classica codifica di “madri dei patrioti”.
Note (↵ returns to text)- A. M. Banti, L’onore della nazione. Identità sessuali e violenza nel nazionalismo europeo dal XVIII secolo alla Grande Guerra, Einaudi, Torino 2005, pp. 260-270.↵
- A. M. Banti, L’onore della nazione, pp. 199-200.↵
- A. M. Banti, L’onore della nazione, pp. 200-204.↵
- G. Garibaldi, I Mille, Nuova Casa editrice L. Cappelli, Bologna 1982, p. 37.↵
- G. Garibaldi, Cantoni il Volontario, Enrico Politti editore, Milano 1870, pp. 32-33.↵
- A. M. Banti, L’onore della nazione, p. 339.↵
- A. M. Banti, L’onore della nazione, pp. 335-337.↵
- F. Schiller, La pulzella di Orléans. Tragedia romantica, cit. in A. M. Banti, L’onore della nazione, p. 338.↵
- P. Déroulède, Sur Jeanne d’Arc, in Id., Qui vive? France! «Quand même». Notes et dicours, 1883-1910, cit. in A. M. Banti, L’onore della nazione, p. 340. Discorso elaborato da Déroulède in occasione della beatificazione di Giovanna d’Arco il 6 maggio 1909 ad Orléans.↵
- S. Tagliavento, La guerriera, l’amante. Anita Garibaldi, in Donne del risorgimento, Controparola (a cura di), Il Mulino, Bologna 2011, pp. 51-53.↵
- Reale Comissione (a cura di ), Le memorie di Garibaldi nella redazione definitiva del 1872, cit. in A. M. Banti, L’onore della nazione, pp. 330-331.↵
- S. Tagliavento, La guerriera, l’amante. Anita Garibaldi, in Donne del risorgimento, pp. 54-55.↵
- L’aneddoto è riportato in G. Guerzoni, Da Montevideo al ritorno in Italia, cit. in S. Tagliavento, La guerriera, l’amante. Anita Garibaldi, in Donne del risorgimento, pp. 56-57.↵
- Reale Comissione (a cura di), Le memorie di Garibaldi nella redazione definitiva del 1872, p. 332.↵
- Reale Comissione (a cura di), Le memorie di Garibaldi nella redazione definitiva del 1872, p. 333.↵
- M. Lanzinger e R. Sarti, Katharina Lanz, combattente tirolese nella guerra antinapoleonica (1797): la costruzione di un’eroina, in Teatri di guerra: rappresentazioni e discorsi tra età moderna ed età contemporanea, A. De Benedictis (a cura di), Bononia University Press, Bologna 2010, pp. 358-359.↵
- TLF, Abscchrift der vomH[err]n Philipp von Wörndle verfaβten Geschichte des Landsturms der tyrolischen nördlichen Volksmass…, cit. in M. Lanzinger e R. Sarti, Katharina Lanz, combattente tirolese nella guerra antinapoleonica (1797): la costruzione di un’eroina, p. 270.↵
- M. Lanzinger e R. Sarti, Katharina Lanz, combattente tirolese nella guerra antinapoleonica (1797): la costruzione di un’eroina, p. 270.↵
- Der Masse-Aufstand der Tiroler, in M. Lanzinger e R. Sarti, Katharina Lanz, combattente tirolese nella guerra antinapoleonica (1797): la costruzione di un’eroina, p. 270.↵
- Das “Mädchen von Spinges”, in M. Lanzinger e R. Sarti, Katharina Lanz, combattente tirolese nella guerra antinapoleonica (1797): la costruzione di un’eroina, pp. 275-276.↵
- M. Lanzinger e R. Sarti, Katharina Lanz, combattente tirolese nella guerra antinapoleonica (1797): la costruzione di un’eroina, pp. 276-282.↵
- M. Lanzinger e R. Sarti, Katharina Lanz, combattente tirolese nella guerra antinapoleonica (1797): la costruzione di un’eroina, pp. 276-282.↵