Noi non possiamo che augurare buona diffusione a questa pubblicazione – oltre che alla prosecuzione del progetto presso la Biennale – perché ci sembra brulicante di idee, attuale, fondativa. Gettare ponti tra le arti è sempre stata e sarà cosa buona e giusta. Entusiasmante è pensare che tracce e percorsi così innovativi provengano da una zona dell’arte in chiara espansione teorica. Dovrebbe accorgersene il pubblico dei teatri tutti, così pigro in questi periodi di sonnolenta crisi. Potrebbero trarne giovamento i cugini dell’arte pittorica, scultorea, installatoria – non pochi – in apparente stato di encefalite letargica postavanguardista.
Il libro, oltre che di fotografie disposte in un ordine quasi cinematografico – come a suggerire una vera sceneggiatura, una storia di emozioni – è denso di citazioni scelte a tracciare un sentiero dove riaffiorano domande importanti. Ovvero a recuperare ciò che alcune persone intelligenti, nel passato millennio e negli ultimi anni, hanno fissato nero su bianco per impedire che la stupidità umana vinca definitivamente la guerra. Adorno, Canetti, Thoreau, Barthes, Benjamin e tanti altri prendono parola in un testo dove protagonista assoluta è (si legge a pagina 36) “l’idea dell’infezione del movimento tra i corpi, la fatalità del trasferimento delle idee tra performer e platea o scena urbana”. Verrebbe da dire: Teatro del Movimento, più ancora che Teatro-Danza. Ismael Ivo, del resto, naviga in acque di confine, al di là di ogni colonna d’Ercole: prende sulla barca tutta la teoria disponibile per non morire di avitaminosi nella traversata lunga, ma concede al nuovo – e così fà chi collabora con lui – di cercare forma tramite “impulso e risonanza”. Nella burrasca delle improvvisazioni capita spesso che qualcuno gridi “Terra!”. Pare sia così che ogni profilo prenda forma, che ogni costa venga avvistata. E’ così che l’estetica continua a ripercorrere da millenni gli stessi, mutevoli, specchianti oceani.
Tra le citazioni di Choreographic Collision scegliamo “Lo spazio rappresenta una forza dinamica nella lotta contemporanea riguardante il significato, l’appartenenza e il potere” Jody Berland, Spazio 2005. Ci sembra quanto mai adeguata per dissodare l’orto, seminare vento e sperare in una tempesta artistica. Lo spazio di una scena teatrale è lo spazio di un’opera d’arte, di un quadro, di un blocco di pietra, di un obiettivo fotografico o cinematografico. E’ il perimetro di un conflitto. Dello spostamento di un limite. E’ lo spazio della ricerca della libertà. Bisogna tagliarne ancora tante, di tele, per “terminare” questo problema. Collisione infinita, convergenza delle arti.