Chris claremont: "così frank miller ed io, con wolverine realizzammo qualcosa di davvero nuovo e differente"

Creato il 19 aprile 2012 da Comixfactory

Wolverine di Chris Claremont e Frank Miller
copertina della prima edizione italiana targata Play Press


Nel 1982 la Marvel Comics era diretta da Jim Shooter, l'editor-in-chief della casa editrice non amava sdoppiare le testate moltiplicando i titoli dedicati ai singoli personaggi (cosa molto in auge attualmente, basti pensare che negli USA il brand dei vendicatori conta almeno cinque testate e anche i Thunderbolts stanno per trasformarsi nei Dark Avengers) ma preferiva proporre qualcosa di diverso. All'epoca anche le miniserie erano un qualcosa di nuovo, uno strumento per focalizzare la propria attenzione su personaggi secondari e raccontare storie che altrimenti non avrebbero potuto vedere la luce sulle testate regolari. Un limpido esempio di questo tipo di storie fu rappresentato dalla prima miniserie dedicata a Wolverine, pubblicata proprio nel 1982; il mutante canadese, grazie allo splendido ciclo di episodi degli X-Men realizzato da Chris Claremont e John Byrne era all'apice del suo successo, non ancora famosissimo (e abusato) come oggi, ma molto amato dai lettori d'oltreoceano desiderosi di sapere di più sul passato del personaggio.

Frank Miller
immortalato nel 1982
nel corso di una convention


 Una miniserie che lo ponesse al centro dei riflettori, dunque, era proprio necessaria. A occuparsi di quella serie furono Chris Claremont (allora e per molti anni a venire vero e proprio deus ex machina delle testate marchiate con una X) e Frank Miller, il cui lavoro combinato mandò in stampa una vera e propria pietra miliare della storia moderna dei super-eroi. Una miniserie che oggi, giusto trent'anni dopo, servirà da canovaccio allo sceneggiatore Chris McQuarry (segnalatosi in passato per aver firmato I soliti sospetti) per la stesura della storia del secondo film dedicato a Wolverine. Di questa miniserie, della sua genesi e del suo rapporto con Miller, ha parlato recentemente Chris Claremont nel corso di una lunga intervista al sito nycgraphicnovelist di cui di seguito (e nei prossimi giorni, dal momento in cui X-Chris si sofferma sulle motivazioni inerenti la fine della sua lunga collaborazione con la Marvel per la sua prima run sugli X-Men rivelando particolari inediti e decisamente gustosi per ogni appassionato) vi riporto alcuni stralci.
"L'assistente Editor della miniserie era Joe Duffy, che portò Frank Miller nell'ambiente e gli diede la possibilità di realizzare la sua prima hit, io gli diedi quella di realizzare la seconda" racconta Claremont "ricordo che diedi un'occhiata ai suoi disegni ed esclamai 'Porca Vacca!'"

John Carter Warlord of Mars #18
Il debutto di Frank Miller alla Marvel
su testi di Chris Claremont

"In molte delle parti dell'episodio di John Carter, il lavoro di Frank fu coperto da quello dell'inchiostratore (che, per la cronaca, si trattava di Bob McLeod - ndStefano) ma nel complesso è possibile riconoscere tutti i segni distintivi che hanno caratterizzato l'arte di Frank sin dai suoi inizi. Si mise a tavolino e elaborò uno stile di combattimento a quattro mani, in modo da poter realizzare le coreografie delle scene di battaglia. La sceneggiatura si limitava a indicare 'Tars Tarkas combatte contro un tipo' e gli passai alcuni suggerimenti, perché in realtà non si trattava di una sceneggiatura ma di un soggetto. Si immaginò come sarebbe potuto venir fuori il lavoro finito, realizzò sia le figure dei personaggi in azione  che le vignette vuote con gli sfondi, poi posizionò una immaginaria macchina fotografica e cominciò a fare dei tentativi sistemando i personaggi sullo sfondo e quelli in primo piano. Come avrebbero funzionato meglio? La cosa più bella era osservare come tutti i pezzi venivano assemblati e i tentativi di farli funzionare al meglio 'se lui aveva trovato il modo di sfidarmi in questo modo, avrei dovuto trovare il modo per essere all'altezza'". 
Nel 1979, l'anno successivo alla realizzazione del diciottesimo numero di John Carter Warlord of Mars e del suo esordio in Marvel dunque, Frank Miller diventò il disegnatore regolare di Daredevil, e in breve (nel 1981) ne divenne anche lo sceneggiatore.

Wolverine
Copertina del secondo
 numero della miniserie originale
illustrazione di Frank Miller


"Frank consegnò la sua prima sceneggiatura, Jim Shooter era nel suo ufficio" ricorda Claremont "Danny O'Neill attraversò la stanza e ripose la sceneggiatura sulla scrivania di Jim. Poi disse 'questa è la prima sceneggiatura di Frank per Daredevil'. Jim chiese: 'cosa c'è che non va?' Danny rispose: 'niente! Non ha alcun diritto di realizzare una cosa così buona, questo giovane! Danny era furioso perché lui avrebbe avuto bisogno di almeno un paio di settimane (se non di anni, dal suo punto di vista) per realizzare qualcosa di così buono e a Frank era bastato davvero poco".
Il Daredevil di Frank Miller fu un successo commerciale e di critica. Miller prese un personaggio di seconda fascia e lo ridefinì introducendo nuovi elementi narrativi (la crime story) e la letale assassina Elektra, spingendo il personaggio fino ai suoi limiti e oltre. Miller in breve diventò uno dei cartoonist più influenti e rappresentativi degli anni '80 (e non solo). Fu a questo punto che Claremont e Miller si incontrarono per realizzare la miniserie con Wolverine. I due autori unirono le loro diverse sensibilità artistiche e scaraventarono il mutante con gli artigli nel mezzo di una trama hard boiled, ricca di azione e di ninja, con una forte caratterizzazione dell'aspetto psicologico del personaggio (voluta da Claremont) e un gusto tutto personale per l'azione (firma di Frank Miller).
"Poiché mi ero allenato lavorando con gente come Dave (Cockrum), Frank o Walter (Simonson) perché avrei dovuto realizzare una sceneggiatura completa?" Spiega Claremont "Questi autori raccontano storie meglio di chiunque altro, certamente meglio di me. E' sufficiente indicargli la  giusta direzione, dargli tutti gli elementi emotivi e fisici, e poi lasciarli liberi. La quintessenza di quello che vi sto raccontando si concretizza proprio nel modo in cui Frank ed io realizzammo Wolverine. La riunione per chiacchierare della miniserie fu fatta in macchina mentre ci spostavano da San Diego a Los Angeles, ed eravamo bloccati in una lunga coda perché erano in corso ispezioni per trovare degli immigrati illegali. Frank era intrappolato ed io stavo guidando, e e mentre guidavo gli raccontavo la storia - cosa avrei voluto fare e cosa avrei voluto raccontare, e chi era Wolverine. Non volevo raccontare una storia simile a quelle che scrivevo per gli X-Men, perché già lo facevo tutti i mesi e desideravo scrivere qualcosa di diverso. Quando giunse il momento di strutturare la storia, per il primo numero scrissi una sceneggiatura di venti pagine, scritte fittissime, per una storia di ventidue pagine. Per il quarto e ultimo numero la sceneggiatura consistette in una telefonata di venti minuti e in una pagina di annotazioni".

Una tavola di Frank Miller
tratta dalla Miniserie di Wolverine

"Il punto è che, giunti al quarto numero, tutte le indicazioni che erano contenute nella prima sceneggiatura (ad esempio: chi era Wolverine e perché stava agendo in quel modo?), i sottotesti  strutturali, non erano più necessari. Frank ed Io eravamo sulla stessa pagina, condividevamo la stessa visione compatibile del personaggio. Non avevo bisogno di ripetergli le cose che aveva bisogno di sapere; tutto quello di cui avevamo bisogno era concordare  raffigurare la storia e come svilupparla facendola partire da un punto A fino a un punto Z, poi potevi lasciarlo libero di fare. Questo è il valore aggiunto che si ottiene quando si mettono insieme due autori per un determinato periodo di tempo, si eliminano tutte le stronzate inutili che vengono fuori all'inizio, così da poter poi focalizzare la propria attenzione nel fare qualcosa di nuovo, eccitante e differente, e condurre il personaggio in situazioni nuove per il lettore e attirarlo. Aspettando fiduciosi che arrivino".

Alla fine la miniserie di Wolverine riuscì ad essere proprio ciò che gli autori desideravano che fosse: un punto di vista differente su un personaggio già affermato e una chance per i lettori per vedere il personaggio al di fuori dei soliti schemi narrativi e delle solite ambientazioni. E' forse per questo motivo che oggi, a trenta anni di distanza, ancora ci si ricorda di questa miniserie (e la si usa come spunto per la sceneggiatura di un film) mentre ci si dimentica senza troppo sforzo di molta della standardizzata e ripetitiva produzione recente.

Copertina di Draw 22


UPDATE
Vi avevo promesso, nella sezione dedicata ai vostri commenti, che, per quanto riguardava la miniserie di Wolverine, vi avrei riportato anche la testimonianza di Frank Miller.
Le parole di Miller sono a mio avviso molto interessanti, anche perché sono specularmente identiche a quelle di Claremont. Lo stralcio di intervista che vi riporto di seguito è stato effettuato da Danny Fingeroth (mitico editor delle testate dell'uomo ragno negli anni '80) per la rivista Draw (edita dalla Twomorrows).
Danny Fingeroth: Alle volte scrivi storie che vengono affidate alla realizzazione grafica di altri autori, alle volte ti occupi di disegnare cose scritte da altri, come ad esempio nel caso della miniserie di Wolverine che realizzasti in collaborazione con Chris Claremont. Come decidi quale ruolo assumere quando accetti un incarico? 


Frank Miller: Di questi tempi non disegno cose scritte da altri autori, e questo perché ho una mia visione molto personale. Per disegnare scene di lotta, non mi sembra necessario affidarsi a un altro scrittore. 


Danny Fingeroth: E tornando a quando lo facevi? 


Frank Miller: Tornando a quei tempi, ero molto emozionato. Il soggetto di quella miniserie lo ideammo, Chris e io, durante un trasferimento in auto da San Diego a Los Angeles durato tre ore. Insieme sviluppammo il soggetto e contribuimmo alla storia in parti uguali. 


Danny Fingeroth: Joe Rubinstein fece un gran bel lavoro inchiostrando le tue matite...


Frank Miller: Assolutamente!

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