Beatles e Rolling Stones: lo yin e lo yang della musica rock. Solari e pace & amore i primi, notturni, cinici e minacciosi i secondi. Un gioco che mi è sempre piaciuto giocare, forse per ravvivare i meno brillanti ultimi decenni, è immaginarmi i Beatles e gli Stones delle scene contemporanee. Per esempio: Phish e Dave Matthews Band negli anni novanta, Wilco e Black Crowes nei duemila. Come tutte le metafore, anche questa zoppica. Se i Wilco sono i Beatles, con le ballate elettroacustiche e le delicate melodie, e i corvi neri gli Stones, con i laceranti riff di chitarra elettrica, è ben vero che paradossalmente quelli più solari, gioiosi, diretti, positivi, ballabili, hippie sono i Crowes, mentre le ballate dei Wilco sono oblique, proiettano ombre sghembe, mostrano visioni inquietanti e irregolari. Come le emicranie di cui soffre Jeff Tweedy, le sue ballate si accartocciano su dissonanze, accordi sbagliati, curve ad angolo acuto.
I due dischi in questione sono side project delle due band citate, due modi analoghi per fuggire dallo show-biz e le aspettative che circondano entrambi i gruppi per cercare di trovare un nascondiglio in una dimensione più intima.
Se i Black Crowes da noi sono ancora materiale per iniziati, negli USA sono il gruppo rock più celebrato, con milioni di dischi venduti all'attivo. Chris Robinson, l'anima freakettona della band, da qualche anno cerca di fuggire da una dimensione che gli è sfuggita di mano, ma che è quella che il pubblico vuole, per tornare agli anni rimpianti dei piccoli tour in pullman e dei concerti nei club, lontano da tour mondiali, viaggi in aereo, recensioni critiche ed aspettative dei fan, con un gruppo di amici che (paradossalmente) ha preso il nome di Chris Robinson Brotherhood, in cui può permettersi di suonare la chitarra (sia pure coadiuvato da Neal Casal) e di cantare a ruota libera, rievocando i giorni di una California psichedelica che ha vissuto sui vinili e che non esiste più.
La stessa operazione compiuta da Tom Petty, che con i piccoli Mudcrutch fugge una dimensione che forse non sente più sua.
Non c'è aspettativa di successo per i dischi della CRB, che vengono venduti a margine dei concerti - tanto che questo Raccolto Fosforescente non riporta sulla copertina neppure il titolo né il nome della band. PH è il terzo disco della fratellanza, ed è chiaramente ispirato ai Grateful Dead degli anni settanta, ciondolanti ballate elettriche in bilico fra musica Americana e psichedelia. Molti fan sono rimasti spiazzati dall'uso del sintetizzatore di Adam MacDougall (che con i Black Crowes suona l'organo), ma anche i Dead degli anni ottanta lo utilizzavano. L'iniziale Shore Power lascia in effetti interdetti ai primi ascolti con la sua aria glam a la Marc Bolan ed il synt da Nutbush City Limits, ma da quando l'ho immaginato come una sigla per la perfetta trasmissione radio riesco ad ascoltarla con gusto. Tutti gli altri brani sono obiettivamente di una omogenea bellezza, con qualche picco qui e la come Badlands Here We Come o la pinkfloydiana Burn Slow.
Simile il discorso per Jeff Tweedy, il "sociopatico" leader dei Wilco. Con i Tweedy, Jeff intende infatti non tanto produrre un disco solista, ma addirittura creare un gruppo alternativo, una band fatta in casa, con il figlio Spencer alla batteria, il cognome per identificazione e il soprannome della moglie/madre per titolo. Un disco doppio, ribadito dalla distribuzione delle venti canzoni su due CD, come se si trattasse di vinili, anche se le due mezz'ore avrebbero trovato comodamente posto su un disco unico. Un disco basato prevalentemente sulle ballate acustiche, con ceselli sapienti ovunque. Venti canzoni che Jeff dichiara essere il distillato di almeno cinquanta registrate, e che forse non appaiono neppure come canzoni fatte e finite ma più spesso bozzetti, schizzi, idee, spunti, tenui acquerelli che si mescolano sullo sfondo, che appaiono e spariscono.
Bellissime canzoni, dolci, delicate, oblique, irresistibilmente evocative proprio degli anni sessanta dei Beatles psichedelici di ballate come Across The Universe, per intenderci. Un po' John Lennon, un po' George Harrison. Canzoni che danno il loro meglio ascoltate nella sequenza giusta sul disco, e non a casaccio come la musica liquida che viene consumata oggi. Canzoni da creano un'atmosfera e che pretendono un po' di raccoglimento nell'ascolto; anche queste, come quelle della CRB - sia pure nella evidente differenza stilistica, sono profondamente hippie nello spirito, ma anche camaleontiche, difficili da afferrate, pronte a trasformarsi e cambiare le carte in tavola, come in uno degli strani film di David Lynch.
Il disco della CRB è un rock vintage molto godibile. Quello dei Tweedy va dritto in cima alle mie preferenze dei lavori di Jeff Tweedy.