Pensavo che il computer che prende coscienza di sé fosse materia di film di fantascienza tipo ‘Matrix’ , o ‘Terminator’, oppure in maniera molto più divertente, come nel film tratto dal libro ‘Guida galattica per autostoppisti’, in cui ‘Pensiero Profondo’, il computer più sofisticato dell’Universo, alla domanda ‘Qual è la risposta fondamentale alla Vita, all’Universo e a tutto quanto’, dopo una elaborazione durata 7 milioni e mezzo di anni risponde con un lapidario e misterioso: ‘42’. E invece a quanto pare ci sono scienziati che pensano seriamente che i computer del futuro potranno avere una ‘coscienza’. Fra questi scienziati c’è Koch.
Questa previsione, deriva dal supporre che la realtà sia solo materiale e che non esista quindi una dimensione spirituale. Infatti questo assioma, enunciato come ipotesi di partenza, porta Koch a considerare la coscienza come il risultato emergente dal comportamento meccanicistico di un sistema ‘complesso’ che nel nostro caso, quello ‘umano’, risulta essere il cervello. Ed è quindi da ciò che deriva l’ipotesi che prima o poi la rete Internet, che sotto certi aspetti assomiglia a quella neuronale, possa diventare ‘cosciente’. Ma come si possa paragonare la rete Internet, pur fatta da computer collegati fra loro, con il cervello umano, che Koch stesso ha definito ‘l’apparato più complesso dell’universo conosciuto’, e del cui funzionamento solo ora si cominciano ad apprendere i rudimenti, non è dato di sapere.
Koch imposta il suo discorso ponendosi la domanda ‘qual è la differenza tra i due sistemi che fa la differenza?’ e ha scritto un libro – ‘La Coscienza: confessioni di un riduzionista romantico’ – per rispondere che forse la differenza è solamente il livello di complessità, perciò una volta che i computer o la rete Internet avranno raggiunto il numero di nodi e la complessità ‘organizzativa’ della rete neuronale non potranno che diventare ‘coscienti’. E come spiega la ‘coscienza,’ che fra l’altro lui assegna in diverso grado anche agli animali? Koch si basa sulla teoria della ‘informazione integrata’ del neurologo Giulio Tononi . In pratica secondo questa teoria, siccome è accertato che nel cervello vi sono miriadi di parti differenziate ognuna specializzata per un determinato compito, quando i risultati di questi ‘compiti’, le informazioni differenziate, vengono ‘integrati’ per mezzo di una interazione ‘creativa’ tra le diverse parti del sistema, allora nascerebbe una esperienza conscia.
Durante il passaggio dalla veglia cosciente al sonno, quando si ha una ‘sospensione’ dello stato di coscienza, si nota infatti la perdita di comunicazione tra le diverse parti, che comunque continuano a funzionare in maniera indipendente. In pratica paragonando le parti del cervello a dei coristi, è come se ognuno di essi cantasse in coro con gli altri durante la veglia, generando così un canto armonioso, che sarebbe lo stato di coscienza, mentre quando si è ‘incoscienti’ lo si è perché i diversi coristi cantano per conto proprio senza accordarsi con gli altri. La teoria di Giulio Tononi ripresa da Koch, introduce come una specie di ambiente ad un numero grandissimo di dimensioni, un cosiddetto spazio dei ‘qualia’, popolato dalle nostre rappresentazioni del reale, detti ‘cristalli’ o ‘politopi’ a sua volta generati da ‘interazioni causali tra parti rilevanti del cervello’ e fatti di ‘rapporti informativi’. Insomma il ‘cristallo’ sarebbe ‘il punto di vista dall’interno, la voce nella testa, la luce dentro il cranio, l’essenza dell’esperienza mentale soggettiva’, differenziata quindi dalla realtà fisica oggettiva. E in base a questa teoria Koch si spinge oltre ipotizzando addirittura la futura costruzione di un misuratore di coscienza. Esso analizzerebbe la rete in cui viaggiano le informazioni, leggendone il livello di attività e calcolandone l’informazione integrata traccerebbe così la forma del ‘cristallo’ dello stato conoscitivo che il sistema sta sperimentando in quel momento. Ecco perché quindi secondo Koch anche se un sistema è fatto solo di circuiti elettrici che si scambiano informazione potrebbe possedere una ‘coscienza’.
Trovo questo discorso senz’altro interessante e suggestivo tuttavia mi lascia insoddisfatto perché non esaurisce il vero problema che è quello di definire e descrivere oggettivamente cosa è la coscienza. Infatti tutto ciò che è stato detto si riferisce all’atto del conoscere e del rappresentarsi internamente il mondo esterno. Ma chi è l’agente di tutto ciò? Solo il cervello, come affermano i materialisti o anche un quid immateriale che costituisce il nucleo vero della coscienza di sé, quella parte che mi fa capire, al di là delle esperienze sensoriali e alle sue relative rappresentazioni, di essere sempre e unicamente ‘io’, una medesima persona che conosce, ha delle sensazioni, pensa ed esiste?+
Fra l’altro ci sono alcuni punti nel discorso di Koch che mi lasciano perplesso e uno di questi è quello relativo al fatto che alle volte saremmo solo illusoriamente ‘decisori’ delle nostre azioni, e che invece il nostro cervello, prima si attiverebbe per risolvere una situazione e poi ci darebbe l’impressione che saremmo stati noi decidere. Ciò ovviamente metterebbe in crisi il concetto di ‘libero arbitrio’. Questa convinzione deriva dal fatto che è stato effettivamente scoperto che i segnali nervosi, quali ad esempio quelli che servono per far muovere un braccio e afferrare qualcosa, nascerebbero qualche frazione di secondo prima che si diventi coscienti di voler compiere l’azione. Cioè, come dice Koch, in questi casi è come se ‘il cervello agisce prima che la mente decida’. In qualche maniera per Koch, il ‘libero arbitrio’ sarebbe alle volte perciò illusorio, in quanto quello che noi pensiamo che sia un ‘effetto’ della nostra decisione, conseguente alla voglia di operare tale azione, sarebbe in realtà esso la vera ‘causa’ che ci fornisce quella impressione. Ci sarebbe cioè in certi casi una inversione tra causa ed effetto, quindi anche i nostri comportamenti apparentemente liberi e voluti in realtà potrebbero essere solo effetti di cause precedenti e sconosciute. Con ciò dando ragione al determinismo Laplaciano più estremo.
Come interpretazione del fatto io proporrei invece una versione alternativa anche se un po’ ardita: visto che è stato accertato che il cervello ha fenomeni di premonizione, il tutto potrebbe essere determinato dal ‘rilascio’ verso il passato di ‘segnali di attivazione’, in modo che il cervello, vedendosi arrivare questi segnali dal futuro si attiverebbe ‘prima’ della nostra decisione futura, cioè ‘in tempo utile’, per avere così un vantaggio, come ad esempio nel caso che si debba scappare di fronte ad un pericolo. Non ci sarebbe in tal modo nessuna inversione causa – effetto: saremmo comunque noi a prendere ‘liberamente’ la decisione di compiere l’azione, ma nel contempo il nostro cervello inviando un segnale di ‘partenza’ verso il passato potrebbe attivarsi prima e così far compiere ai nostri muscoli l’azione in un tempo accettabile (forse in caso contrario saremmo troppo lenti, mettendo così in pericolo la nostra esistenza). In tal modo il libero arbitrio sarebbe salvo. E questa capacità di ricevere segnali dal futuro, se confermata, potrebbe anche significare che il nostro cervello è ben più complesso e sofisticato di quanto pensiamo.
A mio avviso il tentativo di Koch di spiegare in maniera esclusivamente materialistica e riduzionista la coscienza non riesce, e non per la sua poca bravura ma perché tale compito è forse inserito in un paradigma che non può esaurire l’oggetto che vuole esprimere. Ovviamente gli scienziati non credenti non saranno d’accordo, perché pensano che esista solo la fisica, e che tutto il resto, quello di cui da secoli trattano la filosofia e la teologia, sia solo fantasia consolatoria.
Ho notato che Koch non parla mai delle esperienze di pre-morte, le cosiddette NDE. E questo nonostante le riviste scientifiche di neurologia e psichiatria pubblichino da tempo ormai articoli di scienziati che analizzano questi fenomeni. Alcuni studiosi ne danno una spiegazione del tutto ‘meccanicistica’, nel senso che esse sarebbero il prodotto di un cervello che si sta spegnendo, altri, visto che pare accadano in condizioni in cui il cervello è in stato di ipossia e quindi non funzionante, sospettano che possa trattarsi di un indizio della possibilità che la mente possa in qualche modo sussistere anche staccata dal cervello. Koch non fa cenno dell’argomento. Ma se questo fatto fosse reale potrebbe mettere in crisi le sue affermazioni materialistiche e seminare il sospetto che il tutto non possa avere una risposta così semplicemente meccanicistica come quella che lui dà. Ironia della sorte, ultimamente il suo collega neurochirurgo Eben Alexander ha avuto una esperienza NDE che ha cambiato la sua visione della vita, facendo nascere in lui la certezza che esiste qualcosa oltre morte. Riporto solo questa frase di Alexander: ‘Non c’è una spiegazione scientifica a quello che mi è successo: mentre i neuroni della corteccia erano inattivi a causa dell’infezione, qualcosa come una coscienza slegata dalla mente è arrivata in un altro universo. Una dimensione di cui mai avrei immaginato l’esistenza’.
Koch si pone nella categoria di quelli che vedono Religione e Scienza in netta contrapposizione, anche se in maniera un po’ più ‘soft’ rispetto a come fa un Dawkins. Lo dichiara infatti apertamente quando sostiene che la Religione sbaglia nel dire che la coscienza non può essere spiegata solo in termini materiali perché sarebbe anche appartenente alla sfera ‘spirituale’.
Koch per criticare l’impostazione duale mente-corpo dice che “se la mente è ineffabile, come un fantasma o uno spirito, essa non può interagire con l’universo fisico”. Ma egli dimentica che perfino gli astrofisici conoscono così poco l’universo che hanno introdotto le cosiddette materia ed energia ‘oscure’, e che quindi non tutto sappiamo della materia e dell’energia , che potrebbero avere delle proprietà che ancora ignoriamo. Koch è uno dei pochi scienziati che hanno perso la fede dedicandosi alla ricerca scientifica. Di solito succede o la conversione oppure il mantenimento del credo che si ha. Forse l’ammirazione per il suo maestro e mentore Francis Crick lo ha portato inconsciamente ad accettarne l’atteggiamento ateistico, rinunciando, o sarebbe meglio dire trasformando, quella tiepida fede trasmessagli dai genitori e che ancora possedeva prima dell’incontro fatale. Egli infatti ammette di non credere in Dio, o meglio di credere in una specie di Dio vago e impersonale ‘più vicino a quello di Spinoza che a quello di Michelangelo della Cappella Sistina’, un concetto di Dio molto più vicino al Buddismo che al Cristianesimo.
C’è un punto in cui Koch parla di evento ‘Cigno Nero’, cioè del fatto strano e inaspettato che irrompe nella scena e mette in crisi convinzioni radicate. E questi eventi per la scienza attuale potrebbero essere proprio le NDE, i fenomeni di premonizione, i miracoli. Koch manifesta però la sua convinzione che i miracoli sarebbero in contraddizione con le leggi della fisica, ma evidentemente o non ha letto o ritiene poco credibile il fisico Frank Tipler che ha scritto un intero libro sull’argomento – ‘La fisica del cristianesimo’ – in cui ha sostenuto che molti miracoli sono compatibili con le leggi della natura.
Nell’affrontare certi discorsi, Koch mostra di fare gli errori di altri valenti suoi colleghi, che pur essendo specialisti nel loro campo, amano però avventurarsi in argomenti filosofici e teologici di cui sanno poco. Koch manifesta la sua totale fiducia nella scienza attuale. Ma la sola scienza non può dare tutte le risposte, soprattutto quelle di senso, come le grandi domande sull’esistenza che lo stesso Koch si pone, del perché esiste il tutto senziente, ragionante e capace di provare emozioni anziché il nulla. Egli esprime chiaramente la sua ‘tragica’ condizione di non credente di fronte alla morte. Parla della sua angoscia, ma manca di ammettere che sarebbe ben sfortunato l’essere umano se l’emergere della coscienza avesse portato ad una consapevolezza angosciosa, senza risposte e senza speranza. Si intravede in lui una nostalgia per il Paradiso perduto. Egli confessa di sentire che l’Universo è pieno di significato e di sperimentare continuamente una specie di ‘numinosità’ che però non specifica più di tanto.
Da credente, io penso che quello che è forse mancato nella vita di Koch è un evento improvviso, un segno, magari l’irruzione nel suo intimo di qualcosa di inaspettato e inspiegabile che, come per San Paolo sulla via di Damasco e come per una moltitudine di altri esseri umani a cui è successa la stessa cosa, ha portato a una radicale conversione e a una percezione interiore dell’amore di Dio, finalmente sentito come una Persona e non solo come una forza potente ma indifferenziata che permea tutto l’Universo.