Raccontato in terza persona e al passato da un narratore onnisciente che abbandona le reticenze e le piccole omissioni in uso nel genere in favore di una divagazione con funzione “narrativa” e non semplicemente “stilistica”, Real life, di Christopher Brookmyre è tutto giocato sulla convivenza, e anzi sull’alternanza, di due piani temporali che si definiscono in parallelo venendo a creare un quadro compiuto man mano che il lettore ricostruisce gli eventi della vita del protagonista.
Il meccanismo di ricomposizione, innescato dall’avvio volutamente confuso e in prima battuta incomprensibile, incredibilmente, regge la distanza: Brookmyre è un narratore di razza, e non ha certo problemi a intrattenere il lettore; nelle sue mani, la necessità di una pausa dell’azione principale o di una piccola ellissi diventa occasione per un’ironica ricostruzione dell’“indie scene” degli anni ’90, per la messa in scena dei bagordi di un gruppo di universitari o delle spacconate di una coppia di studentelli; tutti
elementi, questi, che imprevedibilmente rientrano nel quadro generale.
Recentemente riproposto da Meridiano Zero nella traduzione di Anna Feruglio Dal Dan questo Real life non sarà forse il capolavoro di Brookmyre, ma è comunque un
romanzo riuscito, anche a dispetto dei lunghi brani che, letti in scaletta, rischierebbero di apparire superflui.