L’articolo sul Centro di Eleonora Berardinetti
AVEZZANO. Hanno risparmiato mesi per poter mettere da parte i soldi e cambiare vita. Quando però sono arrivati inella Marsica sono stati costretti a vivere in posti di fortuna e a lavorare per poco più di 2 euro al giorno. Mohamed e Youssef, nomi di fantasia, sono gli “invisibili” del Fucino. Avevano ascoltato i racconti dei loro conterranei che si erano già trasferiti da noi. Così, non appena hanno avuto l’opportunità hanno raccolto un po’ di soldi per il viaggio e sono partiti. Una volta arrivati qui, però, non hanno trovato quello che si aspettavano. «Ci era stato promesso un lavoro e anche una casa», hanno raccontato i due trentenni, «ma non c’era nulla. Non sapevamo dove dormire e per arrangiarci avevamo realizzato dei giacigli nei canali di scolo del Fucino con il cartone e dei panni». Al freddo e al buio passavano le poche ore di riposo sperando un futuro migliore. «Tramite il passa parola, siamo riusciti a trovare lavoro», hanno continuato, «dei connazionali ci passavano a prendere e andavamo con loro nei campi. Raccoglievamo gli ortaggi dalle 12 alle 14 ore al giorno, ma la paga era bassissima». Secondo una stima dell’osservatorio Placido Rizzotto della Flai-Cgil un bracciante del Fucino guadagna in media 2 euro e 50 l’ora. Una paga al limite della schiavitù che costringe giovani extracomunitari a lavorare fino a 14 ore per poter portare a casa qualche soldo in più. Molte aziende, inoltre, mettono in regola i dipendenti ma gli danno solo il 30-40 per cento dello stipendio, promettendogli poi la disoccupazione agricola. Un ricatto vero e proprio che un contadino italiano non accetterebbe mai. Per questo nelle terre si vedono solo lavoratori di origine marocchina, romena e albanese, costretti a lavorare perché non hanno alternativa. «Dopo aver messo da parte un po’ di soldi, tramite degli amici abbiamo trovato un’abitazione», hanno concluso i due ragazzi, «condividiamo una stanza con altri tre connazionali e riusciamo a mandare a casa qualche soldo. Ma siamo stanchi di questa situazione perché vogliamo essere pagati per quello che lavoriamo». Grazie alla presenza continua del sindacato tra le strade del Fucino e nei paesi come Luco dei Marsi e Trasacco, dove la presenza di braccianti è numerosa, Mohamed e Youssef hanno avuto il coraggio di denunciare il loro caporale. «Al termine di un’assemblea mi hanno avvicinato e hanno iniziato a parlarmi della loro storia»,precisa Marcello Pagliaroli, segretario provinciale Flai-Cgil, che sta seguendo con attenzione decine di vertenze contro il caporalato, «sono rimasto senza parole. Cercavano da noi un aiuto e subito gli abbiamo fornito tutto ciò di cui avevano bisogno. Hanno avuto il coraggio di denunciare perché volevano che i loro diritti fossero riconosciuti». La Flai ha attualmente 5 vertenze aperte che vedono coinvolti 200 lavoratori ai quali non sono stati versati i contributi e pagati i salari dovuti. Nel Fucino ci sono duemila aziende che occupano 9.500 braccianti. Molti vengono assunti in Abruzzo, dove ci sono sgravi fiscali perché rientra nelle regioni del Mezzogiorno, e poi vanno a lavorare nell’Agropontino o nel Casertano. La vertenza che la Flai-Cgil vuole promuovere mira a denunciare questi episodi e a garantire finanziamenti statali ed europei solo alle aziende in regola con i pagamenti e con i contributi.