Ogni occasione è buona, quando si è in fuga dalla deprimente attualità delle cronache italiane, ma quella offerta da Fabristol mi è sembrata davvero ghiotta e gli sono grato per avermi fatto svagare per una mezz’oretta.Secondo la versione ufficiale, il videoclip di All mine dei Portishead utilizzerebbe lo spezzone di una trasmissione Rai del 1968 nel quale una ragazzina canta una canzone che, grazie alla tecnica della sincronizzazione delle labbra (lipsynch), sembra proprio quella cantata dalla cantante del gruppo (Beth Gibbons), e Fabristol chiede: “Sapete di quale trasmissione si tratta? Chi è quella ragazzina? Ma soprattutto qualcuno sa leggere il suo labiale per capire cosa sta cantando?”.Bene, io penso che le domande non abbiano ragion d’essere, perché la versione ufficiale è fasulla: ritengo che il video in bianco e nero sia stato girato ad hoc nel 1997 e che la ragazzina sia ripresa nel sillabare proprio il testo di All mine in playback. Me ne fa convinto la scritta in italiano che appare in sovrimpressione intorno alla metà del videoclip (1:49-2:06): “Ci scusiamo per la povera qualità del suono”. Quel font non è mai stato utilizzato dalla Rai e il registro lessicale della frase, che tradotta in inglese è invece di uso corrente (“We apologize for the poor sound quality”), non corrisponde ai canoni linguistici della tv italiana negli anni Sessanta: “povera qualità” è espressione assai improbabile in quel contesto, dove si sarebbe preferito, senza alcun dubbio, “cattiva qualità”, “scadente qualità” o addirittura, con la mania degli eufemismi che a quei tempi erano la cifra del galateo mediatico, “non eccellente qualità”.Il regista ha voluto strafare. Non si è accontentato di far sillabare la ragazzina con la rimarcata meccanica labiale che gli consentisse di darla in suggestione di artefatto del sapiente postprocessing di un video d’epoca, e ha aggiunto un dettaglio di troppo. Siamo dinnanzi ad uno di quegli sgradevoli eccessi di autocompiacimento che sono la damnatio delle regie che si ispirano ai lavori di David Lynch, e dello stesso David Lynch. Ma su questo mi intratterrò quando dovrò fuggire da altri squallori dell’attualità delle cronache italiane.
Ogni occasione è buona, quando si è in fuga dalla deprimente attualità delle cronache italiane, ma quella offerta da Fabristol mi è sembrata davvero ghiotta e gli sono grato per avermi fatto svagare per una mezz’oretta.Secondo la versione ufficiale, il videoclip di All mine dei Portishead utilizzerebbe lo spezzone di una trasmissione Rai del 1968 nel quale una ragazzina canta una canzone che, grazie alla tecnica della sincronizzazione delle labbra (lipsynch), sembra proprio quella cantata dalla cantante del gruppo (Beth Gibbons), e Fabristol chiede: “Sapete di quale trasmissione si tratta? Chi è quella ragazzina? Ma soprattutto qualcuno sa leggere il suo labiale per capire cosa sta cantando?”.Bene, io penso che le domande non abbiano ragion d’essere, perché la versione ufficiale è fasulla: ritengo che il video in bianco e nero sia stato girato ad hoc nel 1997 e che la ragazzina sia ripresa nel sillabare proprio il testo di All mine in playback. Me ne fa convinto la scritta in italiano che appare in sovrimpressione intorno alla metà del videoclip (1:49-2:06): “Ci scusiamo per la povera qualità del suono”. Quel font non è mai stato utilizzato dalla Rai e il registro lessicale della frase, che tradotta in inglese è invece di uso corrente (“We apologize for the poor sound quality”), non corrisponde ai canoni linguistici della tv italiana negli anni Sessanta: “povera qualità” è espressione assai improbabile in quel contesto, dove si sarebbe preferito, senza alcun dubbio, “cattiva qualità”, “scadente qualità” o addirittura, con la mania degli eufemismi che a quei tempi erano la cifra del galateo mediatico, “non eccellente qualità”.Il regista ha voluto strafare. Non si è accontentato di far sillabare la ragazzina con la rimarcata meccanica labiale che gli consentisse di darla in suggestione di artefatto del sapiente postprocessing di un video d’epoca, e ha aggiunto un dettaglio di troppo. Siamo dinnanzi ad uno di quegli sgradevoli eccessi di autocompiacimento che sono la damnatio delle regie che si ispirano ai lavori di David Lynch, e dello stesso David Lynch. Ma su questo mi intratterrò quando dovrò fuggire da altri squallori dell’attualità delle cronache italiane.
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