Le sentenze vanno rispettate, sempre, anche quando sono considerate ingiuste, perciò, da quando la Corte di Cassazione ha stabilito che l’espressione «paese di merda» configura il reato di vilipendio alla nazione, io mi limito a pensarlo, e, anche se ritengo che non ci sia definizione più efficace per esprimere il degrado morale, culturale e politico in cui versa l’Italia, la evito, e mai – mai, ripeto – verrei qui a scrivere che «questo è un paese di merda»: mi costa enorme sacrifizio, ma la legge è legge, e dinanzi ad essa mi inchino. Tuttavia, anche se vanno rispettate, le sentenze possono essere criticate, ed io qui potrei avvalermi di tale diritto, spiegando perché, a mio modesto avviso,«paese di merda» sia definizione che all’Italia va proprio a pennello, chiamando illustri autori in favore della mia tesi, vuoi sulla forma, vuoi sulla sostanza, e però ci rinuncio, anche perché al post dovrei dare necessariamente un titolo che contenga l’espressione, e questo potrebbe dare l’impressione, almeno al lettore malizioso, che, per capzioso aggiramento, io voglia violare la legge sopravanzando il legittimo diritto. Perciò mi risolvo a titolare: Ci siamo capitiPremessa che sarebbe superflua, questa, se il paese, questo, non fosse quello che è. Paese che da settimane discute su come si possa venir meno al rispetto di una sentenza della Corte di Cassazione, quella che condanna un potente a un annetto di galera, mentre un indulto gliene ha già abbuonati altri tre, e pare che non ci sia altro su cui discutere. Capirete, visto che ci siamo capiti, che si tratta di un paese in cui le sentenze, anche quelle definitive, non sono mai abbastanza definitive: fino a quella della Corte di Cassazione, come è giusto, il condannato in primo e in secondo grado è sempre virtualmente innocente, ma pure dopo, quando la sua colpevolezza è certa, c’è sempre modo di evitare che la condanna sia applicata, ovviamente se il condannato è un potente, perché, se non è un potente, si fotte, e si fa il suo annetto e più di galera, anche solo in attesa del processo di primo grado. Quale migliore definizione per un paese in cui da semplice imputato ti tocca stare in galera, e star zitto, e da condannato in via definitiva è tutto da stabilire se puoi startene a casa due o tre mesi in attesa della grazia o scansare pure quello, e d’intanto puoi sbraitare che neanche così ti sta bene? Evitiamola, ci siamo capiti
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