Presso la scuola di musica del paese in cui vivo, quest’anno hanno istituito un corso di chitarra da scampagnata. Ora non ricordo la corretta dicitura ma il senso è quello: insegnare l’uso sociale dello strumento a sei corde, divulgare la sua funzione di collante delle attività di gruppo e ripristinare l’antico valore della “chitarra sulla spiaggia” nella cultura del tempo libero. La chitarra acustica, nella musica, riveste lo stesso ruolo del pane durante i pasti, un robusto e completo supporto armonico alle melodie. Ma il suo uso universalmente noto come “di accompagnamento” necessita di un’educazione musicale a sé. Basta riff, basta soli e arpeggi: se volete compiacere i due amici e guadagnarvi il diritto a fare un paio di tiri dallo spinello come si cantava ai tempi dei collettivi studenteschi, la chitarra dovete saperla suonare come si deve, con pochi personalismi e al servizio della comunità con pennate e barrè. E c’è ancora oggi chi ha voglia di imparare così e diventare un chitarrista senza troppe pretese, per questo l’idea della scuola di musica che vi ho riportato prima mi sembra tanto onesta quanto funzionale.
Ci sono infatti due aspetti da tenere in considerazione, che tengo a sottolineare in quanto tastierista/pianista e, come tale, sempre afflitto da una sorta di “invidia del manico” nei confronti dei miei nemici-amici chitarristi. Intanto la completezza armonica del timbro data da una giusta misura di note suonate simultaneamente lungo la scala (gravi, medie e acute), un risultato che non sono mai riuscito a ottenere in modo equivalente con il pianoforte vista la maggiore possibilità di rivolti (almeno credo) e la difficoltà di supportare una linea melodica con la base di accordi migliore. Suonare a due mani è una scocciatura, soprattutto se sei una mezza calzetta come il sottoscritto.
Oltre a questo, è la portabilità dello strumento che fa la differenza. Non a caso l’adesivo dell’hippy di spalle che campeggiava sulle automobili da fricchetoni di una volta aveva una chitarra sulla spalla, e non un piano verticale. Si tratta di un altro elemento di frustrazione. Vorrei vedere voi fermi in coda in autostrada per un incidente, quei blocchi in cui si sta lì per ore, e tutti i vostri compagni di viaggio che tirano fuori tromba, sax, contrabbasso, rullante e chitarra semiacustica dal furgone e improvvisano un concertino nella corsia d’emergenza e voi nulla perché non ci sono prese di corrente e amplificatori.
Ma ci sono anche altri momenti che un tastierista vive con imbarazzo, quando per esempio c’è un pianoforte a disposizione e amici o parenti o colleghi ti chiedono di suonare qualcosa. Se sei un pianista classico o un jazzista, capace di suonare temi e di accompagnarli allo stesso tempo, il gioco è fatto. Gli spari senza indugi un notturno di Chopin o The Koln Concert e il successo è assicurato anche se qui, attenzione, il rischio di passare per un Richard Claydermann o, peggio, per un Giovanni Allevi è dietro l’angolo. Ma se non siete così esperti o siete più avvezzi ai synth, come me che ero scarso e pure abituato a suonare con una mano mentre l’altra smanettava su manopoloni e potenziometri, mettere a disposizione un brano di senso compiuto, con un capo, una coda e una serie di note in mezzo comprensibili, mica è facile. Non c’è una scuola intermedia e di conseguenza un modo ufficiale per diventare un pianista equivalente al chitarrista da scampagnata.
Ma a volte basta trovare una propria nicchia. Io per esempio avevo tutto un repertorio di stupidaggini musicali, che andavano dalla sigla de “Il pranzo è servito” a “Profondo rosso” e potevo contare su una discreta capacità di riprodurre al volo canzoni anche senza averle mai studiate con attenzione, attività che rientra nella categoria dell’improvvisazione. Questo mi ha regalato momenti irripetibili, come un’esibizione a una cena di Natale a casa di una fidanzata, molto tempo fa, con parenti, nonni e animali annessi, un convivio a cui ho aggiunto valore con il mio accompagnamento usando una di quelle tastiere da dilettanti a tutto un rito famigliare, e mi spiace averne dimenticato i dettagli. Mi pare che ci fosse un membro designato alla consegna dei regali ad ogni componente della famiglia e che, ogni volta, dovesse accompagnare l’attribuzione del dono con storie, battute, aneddoti famigliari. Sono stato così assoldato nel musicare improvvisando quelle scenette, fino a quando la nonna si mise a piangere dalla commozione, anche se non riesco proprio a ricordare quale brano avessi scelto per sonorizzare il suo momento. Inutile sottolineare che quello, che era il primo Natale trascorso con quella ragazza, è stato anche l’ultimo, l’unico insomma, ma sono pronto a scommettere che quella cena, con tanto di esibizione di pianobar tutto per loro, se la ricordano ancora.