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Ciad / Un'espulsione ingiusta / E' accaduto al vescovo di Doba / Un missionario italiano

Creato il 05 novembre 2012 da Marianna06

 

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Fermarsi a riflettere su un fatto già accaduto e, quindi, non necessariamente la novità dell’ultima ora non è male.

Specie se può servire, a noi o a chi per noi, a fare ulteriore chiarezza, acquisire consapevolezza di qualcosa che non conosciamo o che almeno non conosciamo a sufficienza e, magari, sapere anche come districarsi in certe  conversazioni-tranello o situazioni, che puntano costantemente l’indice contro il mondo cattolico, preti e laici, accusandolo spesso, ad arte, di tutti i mali e le nefandezze del mondo.

Torniamo allora per un attimo, è forse proprio il caso, a quella “strategia del colibrì”della nota fiaba africana, che ci piace tanto.

 

Qualcuno, un amico, mi ha segnalato, stamane, su Jambo Africa (suppongo perché ne parlassi) una notizia, di cui non ero a conoscenza.

 

E cioè mi riferisco al provvedimento d’espulsione in data 12 ottobre scorso dal Tchad di monsignor Michele Russo,vescovo di Doba, missionario comboniano,e da trent’anni  a servizio della gente nel Paese africano.

Monsignor Russo, secondo le autorità ciadiane che hanno firmato il decreto d’espulsione, è reo di avere criticato l’operato del Governo in merito alla distribuzione degli utili derivanti dai proventi del petrolio ciadiano  (per altro il 5% appena), che avrebbero dovuto piuttosto essere destinati ad opere sociali in considerazione dell’enorme povertà in cui versa il Tchad.

 E questa denuncia il vescovo missionario l’ avrebbe fatta nel corso di un’omelia trasmessa da “La voce del contadino”,una radio locale che informa soprattutto la popolazione lontana dai centri maggiori,  quella povera che risiede nei villaggi.

La suscettibilità dei governanti, presidente-fantoccio in testa, non ha perso tempo e così il noto seguito di un provvedimento assurdo e le ovvie conseguenze.

Ora è di qualche giorno fa, accanto a tutta la solidarietà già ricevuta dal mondo cattolico in Italia, la notizia che persino l’associazione degli studenti cattolici del Tchad ha chiesto espressamente al governo di N’Djamena di riconsiderare assolutamente l’espulsione dell’alto prelato. E l’invito a sostenere tale richiesta, con costanti e ripetuti appelli, deve riguardare , sempre secondo il loro portavoce, tutte le confessioni religiose, i loro leader e la comunità internazionale.

Praticamente tutti.

In Tchad, paese in prevalenza musulmano, proprio perché il suo Presidente e la cricca dei ministri, manco a dirlo, sono ostaggi della Francia e delle strategie delle multinazionali rapaci, l’unica possibilità di un futuro dignitoso per i giovani è nella scuola. Cioè negli studi. Nell’istruzione  o nell’apprendimento di un mestiere. E il mondo missionario cattolico, nei limiti, favorisce questo genere di promozione umana e sociale come ha sempre fatto in passato e continua anche oggi.

I giovani ciadiani, che protestano e domandano il ritorno del loro vescovo, significa una sola cosa : non vogliono finire nella strada in cui prospera delinquenza.

Questa è l’unica cosa importante e anche l’unica che conta.

Se sappiamo, dobbiamo parlare. Dobbiamo giustamente accogliere una protesta onesta e fare la nostra parte. Come il colibrì.

Non è ,alla fine, il futuro dell’ecclesiastico  quello che conta, il quale  otterrà certamente un altro incarico quanto, semmai, quello del giovani ciadiani.

Sappiate, per inciso, che il Tchad esporta giornalmente 120 mila barili di petrolio al giorno.

Che quanto ha denunciato alla radio monsignor Russo faceva parte del mancato rispetto di un precedente accordo, perché l’oleodotto è stato costruito con fondi di alcuni organismi internazionali, i cui patti non rispettati erano ben chiari.

E, inoltre, che il denaro del petrolio è servito e serve per acquistare armi.

 Tanto che, secondo testimonianze attendibili, non è raro imbattersi  per le vie di Doba o di N’Djamena  in giovinastri armati che praticano rapine con disinvoltura ai danni di malcapitati passanti.

Per tacere del fondamentalismo islamico, presente anche in Tchad, che vede  profondo "rosso" quando sente parlare di mondo occidentale e di confessioni cristiane. 

 

   a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

  

  

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