Secondo copione, il divo in questione è stato prontamente rilasciato, tuttavia l’‘imbarazzante contrattempo’ occorsogli, subito reclamizzato urbi et orbi attraverso la tentacolare piovra mediatica, ha fatto subito il giro del mondo.Il risultato è quello auspicato da chi aveva architettato questa messa in scena: finalmente i tele-sudditi sono edotti, oltre che sulla “malvagità del regime siriano”, di quello iraniano, di Putin, di Chavez, della Corea del Nord eccetera (la lista è lunghina), anche su quella del governo sudanese, da tempo nella tabella dei “cattivi” a causa dell’ipermediatizzata “catastrofe umanitaria nel Darfur”, sulla quale il “gran pubblico” certamente non avrà capito un accidente (ma basta starnazzare per una “catastrofe” per riscuotere simpatie). Tra l’altro, il presidente del Sudan è l’unico capo di Stato in carica su cui pende un “mandato di cattura” del farisaico “Tribunale dell’Aja per i crimini contro l’umanità” (purché non commessi dall’Occidente: America, Inghilterra e Israele in testa alla classifica dell’impunità totale).Gli attori e i cantanti famosi vengono amati da molta, troppa gente, e sono tra coloro ai quali degli sprovveduti in buona fede si affidano per formarsi un’opinione in un’epoca di disorientamento e di mancanza di punti di riferimento saldi e certi.Ve ne sono per tutti i gusti, da quelli impegnati anima e corpo “per il Tibet”, a quelli specializzatisi sui Balcani e la “bestialità slava”, a quelli che scorazzano per l’Africa in un perenne ‘safari umanitario’, immancabilmente ritratti accanto ai classici bambini neri pelle e ossa con le mosche negli occhi. Sono i “testimonial” di “campagne” che presentate sotto le immancabili parole d’ordine “umanitarie” puntano a “sensibilizzare”, a creare uno stato d’animo favorevole ad un “intervento” occidentale, ad una ennesima “guerra giusta”.Per suscitare astio nei confronti degli “arabi” sudanesi, poco inclini verso una “primavera” in salsa nilotica e per questo meno simpatici di altri, si ostentano platealmente “amore” e “tolleranza” verso i “poveri neri” della Nubia, presentati alla stregua di una “specie da proteggere” prima dell’estinzione, elargendo loro, caritatevolmente, un simulacro di Stato per farli giocare all’agognata “indipendenza” (un capitolo a parte meriterebbe la voce “popoli minacciati”, a geometria variabile, in base alle esigenze geopolitiche occidentali, e collegata a quella “autodeterminazione dei popoli” escogitata in America all’indomani della distruzione degli Imperi plurinazionali di diritto divino).Chi comanda in America non ama affatto i “neri”, una categoria quanto mai indefinita ma mediaticamente utile per alimentare “odio di sé” e sensi di colpa nei “bianchi” dominati dalla medesima élite a cui non interessa un bel niente il colore della pelle ma il grado d’adesione al suo disegno perverso di riduzione dell’intero genere umano ad una massa amorfa di individui dimentichi del perché si trovano su questa terra. Anzi, a dirla tutta, chi comanda in America non ama per principio proprio nessuno se non se stesso, né “gli americani” né “gli ebrei”, cosa che del resto abbiamo già rilevato, sebbene un’apparenza fabbricata ad arte induca a credere il contrario anche chi vorrebbe opporsi additando a “nemico” questa o quella “categoria” etnica, ideologica o religiosa. Si è invece in presenza di una “casta”, unita anche a livello di consanguineità, che fondamentalmente si sente investita di una “missione”: chi la condivide è “amico”, chi non la condivide è “nemico” e dev’essere annientato.Ma sempre grazie a Hollywood e ai suoi film “antischiavisti” dove alla fine trionfa l’eroe “idealista”, oppure proponendo solo e sempre altri drammi umani di ambientazione (pseudo)storica, i cine-rimbambiti non realizzano mai che il più grande crimine della storia dell’umanità moderna, la riduzione in schiavitù di milioni di africani dalla pelle nera, fondata sullo sfruttamento di esseri umani da parte di altri loro simili, non è stata pianificata e diretta da dei generici “bianchi” (cioè “da noi”, in base al condizionamento cercato e ottenuto).Eppure, chi dimostra inoppugnabilmente che le cose sono andate in un altro modo, sia con ricerche storiche che con un cinema non omologato al “politicamente corretto”, viene sistematicamente emarginato dai “padroni del discorso” come “razzista” e “fascista”. Si deve invece pensare che in fondo si è trattato di un “errore”, di un “incidente di percorso”, di una tollerabile “stortura” sulla via retta del “Progresso”: il “bene” alla fine ha trionfato, le “giacche blu” hanno vinto e tutto il campionario di terribili accuse di “razzismo” è rimasto sul groppone degli sconfitti della Seconda guerra mondiale, tanto il cinema americano – e di concerto quello delle nazioni via via plagiate – è un’arma potentissima di manipolazione delle coscienze.Tuttavia per l’Occidente non esiste mai, sebbene sembri l’esatto contrario, alcuna “questione di principio” (almeno di quelle che ci vengono proposte di continuo): Sudan o non Sudan, i neri vengono disprezzati come e più di prima dall’élite occidentale, e basti pensare anche al triste destino di chi nella nuova Libia dei “ribelli” ha la pelle scura per rendersi conto della falsità ontologica di tutte queste mielose dimostrazioni di “fratellanza” e “pace” universali che promanano da Oltreatlantico.
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