Si è appena concluso il Festival di Roma, e di polemiche ce ne sono state un bel po’, soprattutto per un paio di premi. Io ci vado ai festival, non sempre però quando posso ci vado. Ai festival non si vedono le famiglie sovrappeso in stile “Reality” di Garrone, o i ragazzini che riescono a distrarsi dal calcio e playstation solo per vedere commediacce natalizie.
Ai festival di solito il livello di gente che li frequenta è abbastanza alto, molti dei quali sono persone del mestiere, e che sanno quanto costi in termini non solo economici, ma anche di fatica di un’intero e vastissimo gruppo di persone, produrre un film. Per queste ragioni, anche i film mediocri o brutti, non ricevono praticamente mai fischi o altro genere di schiamazzi. Ve lo dice uno che è a Venezia è andato a vedere le linee di Wellinghton, film sulla cui terrificante noiosità mi sono già espresso in questo blog.
Eppure, a fine film, nessuna pernacchia, nessun fischio, anzi più di metà sala applaudiva. Al festival del cinema di Roma invece, è stata trasmessa l’ultima pellicola con protagonista la nostra Isabella Ferrari dal titolo “E la chiamano estate”, regia di Paolo Franchi. Non solo il film è finito fra i fischi con addirittura alcuni giornalisti che gridavano “così rovinate il cinema italiano”, ma addirittura durante la proiezione stessa si sono sentiti parecchi commenti o versi, non proprio rispettosi. Fra l’altro stupisce come sia i giornalisti, che il pubblico fossero tutti unanimamente contrariati dalla bruttezza del film.
Malgrado questo, la giuria ha ben pensato di premiare il film con due premi, miglior regia e miglior attrice. Così mentre in barba alla crisi, nelle sale italiane, come nel resto del mondo, l’ultimo capitolo di Twilight Breaking Dawn parte seconda, macina "fantastiliardi" di incasso, da noi si chiudono i festival premiando dei film che probabilmente in sala non arriveranno mai. La crisi c’è, eppure la qualità al cinema ancora viene premiata. Reality malgrado non abbia fatto il botto come Gomorra ha avuto degli incassi ragionevoli, e sicuramente anche all’estero riuscirà a staccare un bel po’ di biglietti.
Che dire, il cinema italiano è incapibile un po’ come la nostra politica. Una palude in cui si muove di tutto e in cui la maggior parte delle volte non si capisce la strade che vengono intraprese da chi ha in mano il controllo del mercato. Alla settimana prossima, Take Care!
di Gimmi Cavalieri