In questo Paese dove il presente avvilisce e deprime e la convivenza civile è ormai degenerata per effetto di un populismo che sta minando seriamente le stesse istituzioni, sono rimaste poche figure pubbliche degne di un’autorità morale rilevante. Una di queste è l’emerito presidente Carlo Azeglio Ciampi che per i festeggiamenti del 150 anno dell’unità d’Italia, ha intrattenuto con il vicedirettore del Sole 24 Ore, Alberto Orioli, un lungo colloquio le cui riflessioni sono state pubblicate in “Non è il Paese che sognavo” (Il Saggiatore). Una serie di confronti tra l’Italia di oggi dove nessuno ha più il coraggio di volare alto con passione civile e fiducia negli ideali e l’Italia del Risorgimento, della Resistenza e della Costituzione: un confronto da cui scaturisce un giudizio netto, pieno di amarezze. La confessione di Ciampi incrocia rievocazioni storiche (importanti e corpose quelle sui sogni visionari e ancora moderni degli “spiriti europei” Cavour e Mazzini con un’analisi dell’evoluzione tra Patria d’élite e Patria di popolo) e ricordi personali con alcuni ritratti dei grandi della Patria. Il presidente emerito nella sua riflessione vede intrecciarsi antichi vizi della nostra classe politica che sono fonte di un qualunquismo esasperato. Una costante della politica italiana che oggi risulta ancor più degenerativa a causa del dilagare di scandali che non preoccupano più nessuno, conflitti di interessi che non vengono mai risolti e da una lotta politica incarognita così com’è basata su intrighi e colpi bassi. Ma, secondo me, la parte più bella del libro è quella data dall’inquietudine di Ciampi alla vigilia delle celebrazioni per il 150° di “una Nazione che dovrebbe ricercare e coltivare le ragioni del suo stare insieme proiettandosi in Europa” e che invece si perde dietro le fanfaluche secessioniste di Bossi. In questo caso il ricordo è chiaro e netto perché vissuto dal Ciampi in prima persona e ci dice di quanto dobbiamo stare attenti e temere le incursioni leghiste nel tessuto costituzionale. Ed ecco allora il racconto di quando Bossi, convinto che “l’Italietta della lira” non sarebbe riuscita ad entrare nel club della moneta unica, scommetteva sull’esclusione “per scatenare l’estremo affondo separatista” e creare la Padania e lo faceva sapere senza alcun pudore all’allora ministro dell’Economia. E’ da apprezzare l’analisi di Ciampi che comunque non scade mai nell’invettiva (ci fossi stato io al suo posto erano tutte una sequela di bestemmie, rimbrotti e quant’altro ai leghisti e ai lumbard tutti!) e anzi alla fine della conversazione con Orioli si intravede anche un barlume di speranza dato dalla speranza che i giovani possano cambiare il corso delle cose.
In questo Paese dove il presente avvilisce e deprime e la convivenza civile è ormai degenerata per effetto di un populismo che sta minando seriamente le stesse istituzioni, sono rimaste poche figure pubbliche degne di un’autorità morale rilevante. Una di queste è l’emerito presidente Carlo Azeglio Ciampi che per i festeggiamenti del 150 anno dell’unità d’Italia, ha intrattenuto con il vicedirettore del Sole 24 Ore, Alberto Orioli, un lungo colloquio le cui riflessioni sono state pubblicate in “Non è il Paese che sognavo” (Il Saggiatore). Una serie di confronti tra l’Italia di oggi dove nessuno ha più il coraggio di volare alto con passione civile e fiducia negli ideali e l’Italia del Risorgimento, della Resistenza e della Costituzione: un confronto da cui scaturisce un giudizio netto, pieno di amarezze. La confessione di Ciampi incrocia rievocazioni storiche (importanti e corpose quelle sui sogni visionari e ancora moderni degli “spiriti europei” Cavour e Mazzini con un’analisi dell’evoluzione tra Patria d’élite e Patria di popolo) e ricordi personali con alcuni ritratti dei grandi della Patria. Il presidente emerito nella sua riflessione vede intrecciarsi antichi vizi della nostra classe politica che sono fonte di un qualunquismo esasperato. Una costante della politica italiana che oggi risulta ancor più degenerativa a causa del dilagare di scandali che non preoccupano più nessuno, conflitti di interessi che non vengono mai risolti e da una lotta politica incarognita così com’è basata su intrighi e colpi bassi. Ma, secondo me, la parte più bella del libro è quella data dall’inquietudine di Ciampi alla vigilia delle celebrazioni per il 150° di “una Nazione che dovrebbe ricercare e coltivare le ragioni del suo stare insieme proiettandosi in Europa” e che invece si perde dietro le fanfaluche secessioniste di Bossi. In questo caso il ricordo è chiaro e netto perché vissuto dal Ciampi in prima persona e ci dice di quanto dobbiamo stare attenti e temere le incursioni leghiste nel tessuto costituzionale. Ed ecco allora il racconto di quando Bossi, convinto che “l’Italietta della lira” non sarebbe riuscita ad entrare nel club della moneta unica, scommetteva sull’esclusione “per scatenare l’estremo affondo separatista” e creare la Padania e lo faceva sapere senza alcun pudore all’allora ministro dell’Economia. E’ da apprezzare l’analisi di Ciampi che comunque non scade mai nell’invettiva (ci fossi stato io al suo posto erano tutte una sequela di bestemmie, rimbrotti e quant’altro ai leghisti e ai lumbard tutti!) e anzi alla fine della conversazione con Orioli si intravede anche un barlume di speranza dato dalla speranza che i giovani possano cambiare il corso delle cose.
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