Ciao, don Roberto!

Creato il 12 ottobre 2012 da Piercesare
"Sarà la tua Bibbia!". Disse così Sister Elizabeth Thoman a Don Roberto. Erano i primi anni '90. Lei una leader del movimento americano della Media Education. Don Roberto, già rettore dell'Università Pontificia Salesiana, stava muovendo i primi passi come nuovo direttore dell'ISCOS, il neonato Istituto di Scienze della Comunicazione Sociale che lui stesso aveva voluto alla "Salesiana". Negli USA Roberto cercava un orientamento originale, qualcosa che potesse garantire al nuovo Istituto di collocarsi con una sua specificità nel panorama italiano degli studi di comunicazione. La Media Education - lo raccontava sempre - fu una folgorazione: la "Bibbia" in questione era un libro della Thoman - che negli USA chiamano "the goldmother of Media Education". Don Roberto tornò in Italia con le idee chiare al riguardo. Io insegnavo all'ISCOS dal 1989-90: mi avevano voluto lui e don Franco Lever. Ero un giovane di belle speranze, con una laurea in filosofia e una specializzazione in comunicazioni sociali in tasca. All'ISCOS insegnavo, ad anni alterni, Semiotica e Teoria della comunicazione a un'aula multietnica che in quei primi anni esprimeva una qualità enorme: a Roma arrivavano i migliori da molte diocesi del mondo per formarsi e poi tronare a coprire ruoli di responsabilità. Con don Roberto si cominciò a raccogliere un gruppo di insegnanti tutti i mercoledì pomeriggio: seminari di formazione, scuola di metodo. E poi, fin dal 1992, una Summer School sulla Media Education, a Corvara in Val Badia. Roberto importava nel campo della comunicazione quello che aveva imparato in ambito catechetico negli anni '60, interpretando la lezione del Concilio e contribuendo a preparare il documento sul Rinnovamento della Catechesi del 1970: il progetto era di investire con la stessa rivoluzione metodologica anche gli studi mediali e l'insegnamento di scuola. In quegli anni - la metà dei Novanta - educazione e comunicazione, nel nostro Paese, non si parlavano ancora molto. I comunicazionisti snobbavano l'educazione: quando nel 1994 ebbi il mio primo insegnamento a contratto in Cattolica a Scienze della Formazione lo ottenni perché i miei colleghi ritenevano una diminutio insegnare comunicazione lì. I pedagogisti, da parte loro, tranne rare eccezioni (penso alla scuola di Padova, con Luciano Galliani, o a Cesare Scurati) rispetto ai media sviluppavano atteggiamenti difensivi e di sospetto. Uno dei meriti dei primi anni di Corvara fu di raccogliere le esperienze, di far incontrare gli studiosi, di gettare le basi perché anche nel nostro Paese le scienze della edu-comunicazione potessero crescere. Ne nacquero tante iniziative che ricordo ancora con grande emozione: i primi libri per la Elledici (Teleduchiamo, nel '94, Le impronte di Robinson, nel '95), il convegno di Napoli su Educazione e comunicazione: incontro tra due culture, nel 1999, al Suor Orsola, con la regia di Agata Piromallo Gambardella. Nel frattempo arrivò nel 1996 la fondazione del MED, un'associazione che pensammo insieme, insieme anche ad Adriano Zanacchi di cui fu l'idea originaria. Anche in questo caso don Roberto provava a importare in Italia un'esperienza di successo che aveva conosciuto all'estero: la Association for Media Literacy (AML) fondata in Ontario su iniziativa del gesuita John Pungente. John nel 2000 fu l'anima del Congresso di Toronto sulla Media Education: ci andammo insieme, visitando poi sempre insieme Niagara Falls, con una giovanissima Simona Ferrari alla guida della nostra limousine. Come insieme fummo in Cina, nel 2008, al Seminario organizzato dalla Zehiang University. La Cina è stata l'ultima passione di don Roberto. Sulle orme di Matteo Ricci, affascinato dalla cultura millenaria e convinto che l'evangelizzazione di quel subcontinente rappresentasse una scelta decisiva, Roberto si è dato da fare per promuovere scambi di studenti, circolazione di professori, iniziative culturali comuni. Un'altra delle mille cose su cui è stato un apripista. E qui siamo allo specifico dell'uomo don Roberto. Grande cultura, spiccata capacità di relazione e comunicazione, sensibilità squisita, innata predisposizione alla leadership, ma soprattutto "fiuto", o come si dice con termine più elegante: "vision". Don Roberto sapeva cogliere i trend della cultura, aveva la capacità di intuire dove si dovesse andare. Questo il suo pregio indubbio e, forse, anche il suo maggior difetto... perché chi lo amava lo doveva seguire, altrimenti sarebbe partito con altri o al limite da solo, se proprio non si trovava nessuno... Le nostre strade si erano separate da qualche anno, proprio per quel motivo... Ma al di là delle sovrainterpretazioni che probabilmente in molti ne avranno dato, restavano l'affetto e la stima di sempre. Quella stima e quell'affetto mi hanno portato una settimana fa' in ospedale, insieme al caro Don Lever. Ci hanno fermato fuori della rianimazione, non ce lo hanno fatto visitare. Mi resta il rimpianto di non aver forzato la mano, di non aver insistito: ero convinto che lo avrei rivisto fuori di lì e che ce la saremmo raccontata. Mi sbagliavo. Il 9 giugno del 1994 Don Roberto mi scriveva, in un cartoncino infilato nella mia copia di Teleduchiamo appena consegnatagli dalla Elledici: "Pier Cesare, anche questo "figlio" dell'ISCOS è frutto di tanto amore, collaborazione e fatica! Lo dedico a te e ad Alessandra augurandomi che sia il primo di una numerosa e vivace carriera. Con amicizia, Roberto". Amore, collaborazione e fatica: nella vita, come nell'università, mi sembrano tre parole forti, pesanti, ma indubitabilmente vere. Le considero il suo testamento spirituale. Ciao Roberto

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