ciao malinconia!

Creato il 27 ottobre 2014 da Sara
E' arrivata alla fine delle vacanze, inaspettatamente, come suo solito. Non è successo niente di particolare, nessuna tragedia all'orizzonte, i soliti alti e bassi della vita ma vai a sapere perché un bel mattino al risveglio non ti trovi più sola, lei è già lì seduta accanto al letto che ti aspetta e non ti molla. Discreta, silenziosa, rispettosa, è sempre molto misurata nei toni, come una vecchia amica fedele che ogni tanto viene a farti visita e a un certo momento, altrettanto misteriosamente se ne va, in sordina, come è arrivata. Non sto parlando della depressione, quella è molto più invasiva, più invalidante tanto è vero che la moderna psichiatria la tratta come una vera malattia e necessita di farmaci, no, io sto parlando della malinconia, i poeti l'hanno chiamata spleen, che in inglese vuol dire milza, organo responsabile a quanto pare degli umori,  Baudelaire le ha dedicato persino una straordinaria raccolta di poemetti in prosa "Le spleen de Paris".
 La conosco fin dagli anni giovanili, lo dicono anche i manuali di psicologia che lei ama molto frequentare gli adolescenti, però, anche dopo, la nostra frequentazione non è mai cessata, sporadicamente spunta dal nulla e ci siamo ritrovate a fare ogni tanto dei tratti di strada insieme. La malinconia, se la conosci, la riconosci, perché lei lascia al suo passaggio dei segni inequivocabili, per esempio non sai godere di un terso cielo blu milanese come meriterebbe, ti accontenti di guardare il nipote su skype perché la ville lumière appare troppo lontana, i facili entusiasmi si spengono, ti ritrovi più pigra di Oblomov, niente di meglio che stare distesi a leggere, il letto è la tana per eccellenza, il giro a piedi del quartiere risulta un'impresa tantalica, manco fosse la scalata del K2 e poi quella molla del vivere fatta di curiosità e desiderio non funziona più bene, hai un bel oliarla quella molla, scricchiola comunque.
 In qualche modo ci sono affezionata alla mia malinconia, come degli occhiali da sole che filtrano forme e colori troppo vividi, una nebbiolina leggera che ricopre come un manto ogni cosa, come una pausa di riflessione nel flusso caotico degli eventi; non ricordo a proposito di quale scrittore si parlasse di "voluptas dolendi", un certo compiacimento del dolore che ti fa indietreggiare, prendere le distanze, un desiderio di stare alla finestra a guardare invece di buttarsi nella mischia. Gli amici a volte non capiscono, ti sgridano o si offendono perché non ti fai viva, come si fa a spiegare che anche una telefonata può rappresentare una faticaccia immane? Meglio stare a cuccia e aspettare, tanto prima o poi se ne va. Va bene tutto, va bene che è una vecchia conoscenza, va bene che andiamo d'accordo, va bene la stoica accettazione di quel che ogni giorno ti porta, però è cosa notoria che ogni forma di convivenza alla lunga è difficile, però un antico proverbio dice che l'ospite è come un pesce e dopo tre giorni puzza e qui altro che tre giorni, sono quasi due mesi che questa si è piazzata e non mi molla e allora sai che c'è, mi sono stufata e la mollo io: domattina all'alba spicco il volo e me ne vado in Eretz, la mia amata terra, mio cugino Eldad mi aspetta sulle colline di Haifa, e che lei non si sogni di seguirmi in Israele.

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