Due sono le notizie che in questi giorni hanno interessato Lance Armstrong. La prima è il coinvolgimento, a detta di Sport Illustrated, di tutta la US Postal in pratiche dopanti. Notizia che non ha fatto piacere certamente al texano, impegnato nel Tour Down Under in Australia; piuttosto che rispondere a domanda specifica ha attaccato frontalmente il collega che l’aveva posta. Non è una novità. Non è stata la prima e probabilmente non sarà l’ultima volta che Armstrong è coinvolto in sospetti di doping. Dal punto di vista formale è sempre riuscito a evitare che venisse scoperta la “pistola fumante”, ovvero la prova che lo inchioda. Dal punto di vista sostanziale, il suo coinvolgimento in così tanti sospetti e le confessioni di molti dei suoi ex colleghi non lasciano dubbi. Lance ha avuto sicuramente a che fare con il doping nella sua lunga e ricca di successi carriera.
La seconda notizia riguarda il secondo (e credo definitivo) abbandono dell’attività agonistica, proprio alla fine della corsa australiana.
A 39 primavere il texano (il “boss”, Lance per gli amici) esce dal mondo che l’ha reso famoso e gli ha permesso di diventare un esempio per milioni di persone. Alle sue spalle una manciata di classiche, un titolo mondiale e, soprattutto, 7 (sette) Tour de France. Un record difficilmente eguagliabile.
Perché Lance resta un esempio per milioni di persone, nonostante i molti dubbi sulla sua “pulizia” sportiva? La sua biografia, sportiva ed umana, non lasciano spazio a dubbi. Ammalatosi di cancro a 25 anni, riesce a battere la malattia e a tornare al ciclismo ancora più forte. Una parabola simile ad altri sportivi, anche se nessun è riuscito a tornare “dall’inferno” imbattibile, sportivamente parlando, come lui. Un esempio e una speranza per milioni di malati di cancro. Un elemento che bisogna tener ben presente prima di gettare alle ortiche il suo passato e il suo chiacchierato presente. Perché, per questo tipo di male, la speranza vale molto di più di un sostegno concreto. La sua figura ha un valore superiore a quanto la sua potente fondazione è riuscita a fare in questi anni nella lotta al male del secolo.
Dal punto di vista sportivo, se prima era un corridore di classiche, una volta tornato sulla scena si rivela una micidiale macchina da corse a tappe. Si dice che abbia sconvolto il ciclismo e il modo di intendere la professione. Per anni non si occupa di alcuna corsa se non quella che si tiene a luglio, lungo le strade della Francia. La più bella, più difficile e affascinante, l’università del ciclismo: il Tour de France.
In realtà prima di lui già Miguel Indurain aveva imposto l’estrema specializzazione di questo sport. Anche il Navarro correva due mesi l’anno: a maggio e luglio, giusto i mesi per portarsi a casa Giro e Tour.
Se dal punto di vista agonistico il texano restringe ancora di più il periodo di massimo sforzo agonistico, questo accade perché per lui, come per tutti i ciclisti USA, esiste solo una corsa, la Grande Boucle appunto. In questo ricalca le scelte di un altro grande statunitense del ciclismo mondiale: Greg Lemond, vincitore di tre Tour e di un mondiale. Anche Lemond non metteva nei suoi piani stagionali altre corse se non la corsa francese; anche Lemond nel corso degli anni è diventato uno dei più acerrimi accusatori del “boss”.
Nel raccontare le imprese di Lance Armostrong, ho sempre considerato il soprannome “boss” come emblematico del personaggio. Nel gruppo, per ascendente, carisma e successi, non ha mai passato la mano o mandato a dire. Era lui che dettava tempi e modi, delle proteste come delle gare. E’ stato lui che ha condotto una strenua lotta, fino alla scomparsa, di nemici e avversari, che non erano sportivi, ma umani.
Molti, o pochi, ricorderanno il duello con Marco Pantani, nel 2000, sul Mont Ventoux. Vinse il Pirata, per gentile concessione del boss, il quale si affrettò a ricordare ad “elefantino” questo regalo. Elefantino, per Armstrong, era Marco, perché questo era il soprannome che gli venne affibbiato quando ancora correva alla corte di Chiappucci. Un soprannome irriverente e palesemente inadatto al personaggio mitico che i tifosi italiani avevano imparato ad apprezzare. Non per Armstrong, che decise, in quell’estate del 2000, di schiantare psicologicamente prima che fisicamente Marco. E per questo ritirò fuori il vecchio soprannome. Quando gli chiesero perché mai continuasse a chiamare Elefantino colui che tutti conoscevano come Pirata, rispose: “Era elefantino quando ho iniziato a corre, forse mi sono perso qualcosa, ma per me rimane tale”. La fine di Marco era segnata. Miserie e grandezze dell’uomo.
Si vociferava, qualche anno fa, prima che la crisi spostasse gli equilibri politici negli USA, che Lance una volta smesso di pedalare si sarebbe buttato in politica. Molti gli hanno pronosticato un futuro da Governatore e, perché no, da Presidente. Forse non alle prossime elezioni, magari tra cinque anni. Nel frattempo? Alcuni l’hanno visto sgambettare, nuotare e pedalare in qualche gara triathlon. Il suo primo amore sportivo. Come spesso accade, quando i capelli imbiancano si torna all’antico per empatia, serenità e gusto del passato.
Comunque la pensiate, in bocca al lupo Boss!
AU
Ciclismo – Armstrong lascia portandosi dietro una scia di polemiche
Creato il 21 gennaio 2011 da Sport24hPossono interessarti anche questi articoli :
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