Il punto è che le visite, le denunce, le dichiarazioni, i rapporti delle organizzazioni antirazziste non si contano più ma il sistema di detenzione amministrativa è ancora in piedi e nulla è cambiato. L’indignazione che cosparge le pagine dei quotidiani e che straripa dalle dichiarazioni dei parlamentari che visitano le strutture scompare quando si tratta di tradurre in scelte politiche conseguenti l’analisi di quanto avviene.
I migranti questo lo hanno capito. Per questo scelgono sempre più spesso forme di protesta disperate: gli atti di autolesionismo come quello scelto dai 15 migranti che dal 21 dicembre si sono cuciti la bocca a Ponte Galeria, i danneggiamenti alle strutture come quelli che più volte sono stati realizzati a Gradisca e a Lampedusa, le proteste sui tetti come quella di Bari. Oppure: i casi di suicidio come quello avvenuto nel Cara di Mineo qualche giorno fa e di cui si è parlato pochissimo. Sì perchè non sono solo i Cie a dover essere chiusi: è l’intero sistema di quelli che il Ministero dell’interno e la stampa si ostinano a definire “centri di accoglienza” ma che dell’accoglienza non hanno niente che va smantellato, CARA, CDA e CPSA compresi.
La politica ha tutte le informazioni necessarie per assumersi le sue responsabilità ma non lo fa.
Il 9 dicembre alla Camera sono state discusse diverse mozioni presentate da Pd, Scelta Civica, Sel, PDL e M5S in materia di detenzione amministrativa. La Camera ha approvato una mozione di compromesso che sebbene nella premessa sottolinei la disumanità, l’inefficacia e l’inefficienza del sistema dei Cie e dei Cara si chiude con un dispositivo (la parte che chiede un impegno al Governo) molto debole e continua di fatto a legittimarne l’esistenza.
Il sistema dei Cie, come ha efficacemente evidenziato MEDU in un comunicato diffuso il 9 dicembre, è già imploso. Solo sei dei tredici CIE presenti sono attualmente in funzione; non solo, ma queste sei strutture sono operative al 50%. Il fallimento del sistema di detenzione è sotto gli occhi di tutti, persino degli operatori delle forze dell’ordine.
Eppure. Eppure quando si tratta di agire politicamente di conseguenza, la “timidezza” prevale.
Ieri il Ministro dell’Interno Alfano è stato invitato a riferire in Parlamento sui trattamenti inumani e degradanti che un servizio del Tg2, grazie alla denuncia coraggiosa di un migrante “ospite” nel CPSA di Lampedusa, ha portato alla luce. Come spesso avviene, il “caso” sotto i riflettori della stampa nazionale e internazionale, ha partorito un topolino: è stato rescisso il contratto con l’ente gestore del CPSA di Lampedusa, la Legacoop, cui aderiva la cooperativa Lampedusa accoglienza ha aperto un’inchiesta interna, si procederà, sembra, ad affidare la gestione del CPSA alla Croce Rossa. Si fa finta di fare qualcosa per rassicurare l’Europa ed evitare le procedure di infrazione annunciate, ma in realtà tutto torna come prima.
Un appello diffuso dalla campagna LasciateCIEntrare gira da tempo: http://lasciatecientrare.it/index.php/la-campagna/mai-piu-cie/
Decine di associazioni, avvocati, giornalisti l’hanno elaborato dopo anni di monitoraggio sistematico, di denunce, di proteste. Chiede alla politica di rinunciare alla retorica e di agire: un sistema che non assolve le funzioni affidategli dal legislatore (solo il 46,2% delle persone detenute nei Cie tra il 1998 e il 2012 sono state effettivamente rimpatriate) è un sistema inutilmente disumano.
Dunque non c’è più niente da scoprire, ne sappiamo abbastanza. Basta discutere, queste moderne strutture di concentramento devono essere chiuse.