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CIFAF 2014, intervista ad Alice Menaballi delle Fenici Ferrara

Creato il 29 maggio 2014 da Simo785

Mi chiamo Alice Menaballi, ho 28 anni (almeno così dice la C.I.), vivo ad Alessandria dove eseguo lavori saltuari: dalle ripetizioni in settimana alla barista nel weekend, ed intanto scrivo la mia tesi in ingegneria aerospaziale facoltà del Politecnico di Torino. Per il resto la mia vita è football: Lunedì alleno la squadra maschile dei Bears Alessandria, Martedì e Giovedì bicicletta o piscina per mantenere l’allenamento, Mercoledì mi alleno con la squadra maschile dei Pirates Savona e il Sabato o la Domenica con la femminile delle Fenici Ferrara con cui gioco il campionato 2014.

Alice Menaballi, giocatrice delle Fenici Ferrara

Alice Menaballi, giocatrice delle Fenici Ferrara

Come ti sei avvicinata al mondo del football?

Ho conosciuto questo sport dieci anni fa quando seguivo molti amici che giocavano nei Centurions Alessandria, già dalla prima partita ne rimasi affascinata, per via degli studi passavo la settimana a Torino quindi non potevo seguire gli allenamenti a cui nel frattempo iniziava a partecipare mio fratello. Seguivo tutte le loro partite e il desiderio di entrare in quel mondo cresceva, poi quattro anni fa finalmente giocai la mia prima partita di flag football e da quel momento fu subito amore.

Il flag mi divertiva ma ero determinata a giocare a tackle, così la dirigenza e gli allenatori decisero di offrirmi questa possibilità permettendomi di partecipare agli allenamenti dei ragazzi. Per questo non li ringrazierò mai abbastanza perché mi hanno insegnato tantissimo e soprattutto mi hanno dato modo di vivere la mia passione. Inoltre è stato proprio il mio primo coach Ciro Franzoso a darmi il contatto di Valeria Vismara, tramite la quale sono approdata nel Febbraio 2012 alle Furie e sempre con loro ho potuto giocare il primo campionato di football femminile italiano l’anno successivo.

 

Cosa diresti per convincere le ragazze a giocare?

Ho visto in diverse occasioni le squadre far reclutamento di ragazzi e ragazze per il football e le reazioni sono state varie: molti si ritenevano inadatti per costituzione fisica, pochi erano attratti solo per il fatto di potersi picchiare legalmente, in altri prevaleva il timore di subire infortuni, altri ancora si domandavano se esistesse davvero in Italia. Per quanto mi riguarda più che convincere le persone a giocare ho sempre cercato di dire cos’è per me questo sport: è il vero sport di squadra, dove per vincere serve unione, grinta, serve che tutti i compagni diano il 100% giocando dentro al campo ma anche fuori sostenendo la squadra. Non c’è spazio per i personalismi perché i fenomeni ci sono ma da soli non fanno il risultato, se tutti non collaborano insieme per far passare il portatore di palla interponendo il proprio corpo tra lui e l’avversario non si segnano i touchdown, se tutti non corrono a partecipare al placcaggio aiutando il compagno che ci è arrivato per primo, il runner avversario magari lo evita e va a segnare. Sono poche le realtà dove davvero si può parlare di sorelle o fratelli tra compagni ma quelle sono le squadre vincenti, certo poi contano la tecnica e la preparazione che si acquisiscono agli allenamenti, ma se l’ambiente è quello sopra descritto gli allenamenti non pesano e non pesano tutti i chilometri fatti per poter giocare, tutti i colpi, i lividi, gli infortuni, le nottate passate a sbrigare il resto dei doveri per poter andare ad allenamento e costruire insieme, passo dopo passo, la vittoria.

 

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Il tuo punto di forza come atleta e il punto su cui devi lavorare maggiormente?

Il mio punto di forza credo sia proprio l’amore per il football, la grinta mi esce spontanea e la voglia di giocare è presente ogni giorno, appena posso corro ad allenarmi e a volte l’allenamento costituisce anche una valvola di sfogo.

Ovviamente desidero incontrare giocatrici e giocatori sempre più forti perché solo così posso crescere e migliorarmi, l’errore più grande che può commettere un giocatore è considerarsi arrivato o invincibile, c’è sempre qualcosa da imparare o qualcuno che ci può battere.

Nel mio ruolo di fullback cerco di giocare ogni azione come se fosse la più importante perché so di costituire la protezione più vicina al mio runner o al mio quaterback e se sbaglio, il placcaggio è quasi sicuro, quindi non esiste sbagliare il primo blocco e mi alleno ogni giorno per evitare che questo accada.

 

Sei anche coach, perché questa scelta?

Inizialmente ho scelto di seguire il corso e sostenere l’esame da coach per i ragazzi dei Centurions. Prima che la società chiudesse, si parlava di assenza di coach di livello per poter partecipare al campionato; loro avevano permesso al mio sogno di iniziare a realizzarsi perciò volevo cercare di perpetrare il loro, ricambiando così in qualche modo.

Durante il corso ho appreso poi numerosi elementi e indicazioni che mi sono serviti anche da giocatrice e che, agli allenamenti, cerco di mettere in pratica o di trasmettere alle mie compagne, questo sempre nell’ottica che una squadra deve crescere insieme con tutti i suoi elementi, il singolo da solo non basta.

Sapere bene il regolamento, i movimenti da evitare per scongiurare infortuni a sé e agli altri, leggere gli attacchi o le difese avversarie e capire cosa fare, mi ha permesso di aiutare le mie compagne e conferito una maggiore sicurezza in campo; sarà per questo o per passione, ma per me il giorno della partita non è motivo di ansia, anzi, è come se fosse Natale per un bambino: lo aspetto tutto l’anno e non vedo l’ora che arrivi!

 

Un punto della situazione sull’attuale campionato?

Beh i numeri sono sotto gli occhi di tutti, prime in classifica a più 52 come differenza tra punti fatti e subiti, direi ottima partenza ora bisogna mantenere il risultato dimostrare che non è un caso ma il frutto di un lavoro di più persone tra coaching staff e atlete. Non credo daremo nulla per scontato e ci impegneremo al 100% in ogni partita qualsiasi sia il nostro avversario, sottovalutare chi ci sta di fronte non sarebbe solo un errore ma anche una mancanza di rispetto e non sono valori che si possano concepire. Le partite in questo campionato sono poche, quindi per poter giocare e divertirci, facendo sì che i nostri sforzi non siano stati vani, dovremo impegnarci  e essere unite per uno scopo comune, arrivare a incontrare le squadre dell’altro girone.

 

Una bella immagine di gruppo per il team delle Fenici Ferrara

Una bella immagine di gruppo per il team delle Fenici Ferrara

E su questa nuova squadra in cui sei approdata?

Sono sincera quando dico che in poche squadre si può parlare di famiglia e qui si può! Si possono solo fare i più grandi e sinceri complimenti, in generale, alla società Aquile Ferrara e più in particolare, alle Fenici ma ancora di più alle singole persone. Come Luca Borra che merita il massimo rispetto poiché riesce, a quanto pare con facilità, in qualcosa che per altri è molto difficile se non impossibile: essere coach, dirigente, responsabile e amico; a essere autoritario ma anche attento ai nostri bisogni. Senza contare gli altri membri del coaching staff e gli stessi ragazzi giocatori delle Aquile che appena possono, corrono a darci una mano. Infine ma non ultime le ragazze, che pur venendo già da un’unione con un’altra squadra ormai conclusa, ci hanno accolto con la più calorosa ospitalità che si potesse pensare; essendo poi questo un tasto delicato poiché in una squadra di tanti elementi è difficile che ci sia spazio per tutte a giocare o che si possa andare tutte d’accordo. Ognuna di loro poteva vedere in noi una sorella scomoda con cui dividere qualcosa di suo, invece sono convinta che tutte insieme abbiamo messo e metteremo il “se stessa” da parte per il bene e i bisogni della squadra, solo così potremo affrontare il seguito di questo campionato.

 

Qual è il futuro che ti auguri come atleta e come coach?

Come atleta lo ammetto, il mio sogno sarebbe quello di poter giocare un campionato maschile, magari con i Pirates Savona che mi hanno accolto con affetto. Ma mi accontenterei anche di uno femminile di pari livello, includendo quindi kick off e gli altri quattro giocatori che ci servono per poter giocare a undici. Questo alla fine, se si concretizzasse, sarebbe una crescita significativa per il movimento del football femminile in Italia, il nostro paese arriverebbe ai livelli di altri paesi europei come, ad esempio, la Francia che ha due campionati femminili e giocano già da tempo a undici. Perché poi non sperare in una nazionale femminile competitiva!

Come coach sto puntando al conseguimento del secondo livello e a diffondere il più possibile la disciplina del football americano in Italia, sono contenta quando nascono nuove squadre poiché è indice di una maggiore attenzione verso questo sport e si traduce in campionati più ricchi e avvincenti. Diventare coach è stata una sfida, esserlo e crescere come tale ne costituirà un’altra, altrettanto intrigante.

Si ringrazia Andrea Golfieri per la gentile collaborazione e disponibilità.


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