Quaranta anni fa, in queste ore, si ordiva il golpe contro l’ordinamento democratico cileno. Erano ore convulse, durante le quali Salvador Allende, debilitato dalla disobbedienza di una parte del Parlamento, che pochi giorni prima si era rifiutato di sancire il pacchetto delle riforme e dall’opposizione della parte più intransigente delle Forze armate, cercava in tutte le maniere di trovare una soluzione politica all’impasse istituzionale. Ligio alle istituzioni ed alle regole democratiche, Allende non aveva mai creduto all’eventualità della riuscita di un golpe, grazie soprattutto alla fedeltà che gli aveva dimostrato in quei giorni Augusto Pinochet, comandante in capo dell’esercito fortemente raccomandatogli dal generale Carlos Prats che lo aveva indicato come suo successore. Pinochet aveva preso il posto di Prats –che sarà poi ucciso nel settembre 1974 a Buenos Aires da un commando congiunto della Dina e della CIA- solo il 23 agosto, ma in ripetute occasioni aveva confermato ad Allende il completo appoggio nel caso di una sollevazione militare. La parola di Pinochet, però, non valeva nulla ed Allende se ne renderà conto presto. L’8 settembre, infatti, Pinochet si unisce ai golpisti, rispondendo positivamente all’invito fattogli dal generale Sergio Arellano Stark a nome dei responsabili del piano eversivo, Gustavo Leigh (comandante della Forza Aerea) e José Toribio Merino, vice ammiraglio della Marina.
La sorte di Allende è già segnata da domenica 9 settembre. Leigh e Pinochet si accordano proprio nel pomeriggio di quel giorno. A quel punto, c’è ben poco da fare. Il golpe ha l’appoggio incondizionato degli Stati Uniti che sin dall’elezione di Allende a presidente della Repubblica, avvenuta tre anni prima, avevano foraggiato ed incentivato l’azione militare. Nè l’esercito, nè la marina, nè l’aviazione difenderanno l’istituzionalità del paese: l’uomo si trova solo e da solo, con elmetto e kalashnikov difenderà fino all’ultimo La Moneda dagli attacchi dei golpisti e dalle incursioni dei Mig dell’aviazione. L’immagine è ancora oggi quella della lotta disperata di un uomo che vuole difendere le istituzioni dalla barbarie, dalla violenza e la prevaricazione, immagine eroica per molti cileni, ma che non ha alcun valore invece per altri.
La destra ancora oggi continua a rifiutare il golpe come tale, e attraverso esercizi linguistici parla invece di ¨pronunciamiento militar¨. La dittatura, i desaparecidos, gli assassinii nell’ambito dell’Operazione Condor non sono stati che dettagli, una forzata necessità per salvare il Cile dal disastro sociale ed economico. Una ragione che non è mai stata messa in dubbio dalla destra. Sono i metodi usati -ma non la sostanza significante del golpe- a procurare invece oggi una sorta di vergogna ad alcuni ambienti che, alla vigilia di questo quarantesimo anniversario hanno voluto chiedere scusa. Politici della destra, il Tribunale supremo, lo stesso presidente Piñera lo hanno fatto nel tentativo –ancora una volta- di voltare pagina. Un tentativo lodevole, ma che non cambia l’essenza della forte polarizzazione che ancora oggi si vive in Cile, dove l’anniversario cade vicino alle elezioni presidenziali e può essere strumentalizzato a ragione di questo importante appuntamento. Insomma, è vero pentimento o no?
Evelyn Matthei, candidata della coalizione di destra e figlia del generale Fernando Matthei, figura di rilievo nel golpe, ha detto chiaro e tondo che non ha nulla di cui chiedere scusa. Iván Moreira, che si candida per un posto da senatore, dice invece che la sinistra sta manipolando la Storia: ¨La destra non ha nessuna responsabilità nel colpo di Stato¨ e ribadisce che Pinochet ¨ha salvato la vita ad un’intera generazione¨. Carlos Cáceres, che fu ministro di Pinochet, insiste invece sui diritti umani e ha dichiarato che le violazioni non facevano parte di alcun piano, dato che furono il risultato di fatti circostanziali. Il Cile continua insomma avvolto nel ciclo politico avviato dalla dittatura, con un modello che, invece di esaurirsi per motivi generazionali, sembra capace di potersi protrarre.
La condanna universale della dittatura –con Pinochet figura centrale ad incarnare il Male- non fa per i cileni. Per molti, una grande maggioranza, il generale golpista è stato un esemplare statista e continuerà ad esserlo. Ha migliorato l’economia, ha costruito strade, ha modernizzato Santiago. I morti, i desaparecidos, le violenze? Solo dettagli. Finché i cileni non si libereranno di questo peccato originale non sarà possibile voltare pagina, nemmeno chiedendo perdono tutti i giorni.