È ributtante, è nauseante essere costretti ad ascoltare il buonsenso degli italiani brava gente. Non parlo dei nazisti della lega in maniche di camicia, quelli per anni blanditi da tutti perché erano radicati – beati loro – sul territorio, perché avevano il polso del pensiero comune, perché prendevano voti e condizionavano governi e informazione.
A sentire i commenti della gente comune, quelli nei bar o al mercato, c’è da temere davvero che lo misurassero l’umore popolare, che fossero davvero ben collocati nelle nostre geografie benpensanti. Tra quelli che dicono che è affare dell’Europa, delegando i poveracci stranieri viste le ottime prestazioni nel far diventare poveracci noi, tra quelli che hanno bisogno di trovare un nemico per muovere la propria guerra fatta di risentimento, odio, diffidenza, tra quelli che dicono che devono stare a casa loro, a guadagnarsi un pane meno amaro di quello dell’esilio, rimuovendo quanti di noi in passato sono stati costretti alla solitudine, alla lontananza e all’umiliazione, dimenticando quanti di noi oggi vengono ricattati a farlo davanti ai cancelli di fabbriche traslocate, nascondendosi quanto è amaro il poco pane che ci resta, avviati a una cancellazione di certezze e diritti che ci rende già potenziali schiavi, in balia di traghettatori e caporali proprio come loro. Tra quelli che tanto arrivano qua solo i criminali, vengono qua quelli che ci rubano il lavoro, vengono qua le puttane, vengono qua gli spacciatori, quelli ai quali si fanno pulire i vecchi e ninnare i bambini, finchè si può approfittare di gente “irregolare”, sottopagata, taglieggiata, in attesa di esserlo noi, ufficialmente. Tra quelli che vogliono applicare gerarchie a diritti, questo si, quello, no, a prerogative, accogliamo solo rifugiati da guerre in corso, quelle tradizionali, non chi scappa dalla guerra della fame e della sete o della perdita della libertà.
E ci sono anche quelli che riesumano tutta la paccottiglia antiretorica che è più retorica ancora: non bisogna regalargi il pesce ma insegnarli a pescare, non va bene mandargli il grano ma persuaderli a lavorare i campi, si, si, quei campi che noi abbiamo avvelenato, ridotti a colate di cemento, abbandonato e svenduto insieme a tutto il resto, noi i maestri della civiltà.
Bossi, Maroni, Fini mai abiurati, Berlusconi che compra la villetta a Lampedusa, sono i leader scelti e incaricati da molti, troppi italiani brava gente, che si è sentita e si sente ancora legittimata da loro all’abiezione dei respingimenti, all’orrore di lager di stato, che non nascono come tali ma lo diventano inevitabilmente, alla sconfitta dell’esclusione, spacciata per autodifesa, alla indegnità dei pogrom negli accampamenti dai rifugiati dalle guerre dell’ex Jugoslavia, perché sono sporchi, brutti e cattivi. Loro, i manager della paura, ci hanno messo le leggi, il Giornale e Libero e Panorama, ci hanno messo il sindacalismo territoriale in difesa degli imprenditori sfruttatori, quelli che non regolarizzano, non meono il casco ai romeni sull’impalcatura, gli fanno maneggiare l’eternit. E ci hanno aggiunto le armi vendute a ambo i contendenti in guerra coi loro stessi popoli, il favore, l’amicizia e il baciamano a tiranni e despoti sanguinari. Ma hanno trovato terreno fertile, hanno suscitato germi già presenti, hanno nutrito istinti venuti alla luce senza più censure e vergogne.
La “fortezza Europa” è riuscita nell’operazione di legittimare come se fosse un pragmatico, realistico e onorevole sistema di difesa la tendenza a chiudersi a riccio intorno al suo relativo benessere, contingentando arrivi e somministrando inclusione e integrazione a seconda delle esigenze del mercato del lavoro. Servendosi anche delle ideologie razziste che hanno informato partiti e politiche pubbliche dei vari paesi partner, declinate variamente in misura del rapporto con le loro storie e a ciò che dalle vicende totalitarie del secolo feroce, breve e ancora non terminato, hanno appreso. Se ogni giorno lamentiamo che l’Italia non ha fatto i conti con il passato fascista, ancora più irrisolto è il nodo del suo passato coloniale, così che i presupposti razzisti dell’ideologia fascista e dell’esperienza colonialista nonsono stai investiti da nessuno sforzo di riflessione e autocritica. E lo conferma l’infamia oscena del monumento al massacratore Graziani sponsorizzato da una giunta regionale di centro sinistra sul quale è ancora aperto in ignominioso dibattito.
Siamo un Paese che dimentica, rimuove e si giustifica, si è pensato di essere stati condonati del razzismo dalla lotta partigiana e che i crimini fossero abbonati dall’ambigua posizione di vinti alleati dei vincitori.
Italiani brava gente, fa il paio con “io non sono razzista, però…” che ha affermato un discorso pubblico e una narrazione politica inegualitari, discriminatori, xenofobi funzionali alla subordinazione sociale degli “altri”, meridionali, migranti, extracomunitari.
Così il terrone, la faccetta nera di allora, l’immigrato di oggi sono percepiti allo stesso modo, nella convinzione che esista una gerarchia tra le razze, le culture, le religioni, le cucine. Spesso i negazionisti hanno accusato i sopravvissuti di essersi fatti imprenditori della memoria. Beh ce ne fossero, ci fossero tante vittime del colonialismo a condannarci per i delitti di ieri, per quelli di oggi, primi tra tutti indifferenza e sospetto. Farebbero un favore all’umanità tutta e a noi in particolare, che ancora ci crogioliamo nella nostra supposta superiorità, sopravvissuta a una benessere ormai cancellato, a bellezze che abbiamo devastato, a una civiltà ormai sciolta nei veleni ideali e reale che abbiamo prodotto, a una democrazia che non regge alla prova dell’egoismo.