Cimitero di Staglieno, un museo all'aria aperta

Creato il 05 ottobre 2014 da Blackcat80
Una canzoncina che cantavamo quando eravamo bambini parlava di un gatto nero re del cimitero - un po' per far rima, un po' perché viene bene come associazione fra due icone del mondo gotico dal fascino crepuscolare.
E inevitabilmente, ogni qualvolta scrivo un post su qualche cimitero, mi viene in mente, anche se non ho mai visto tombe dedicate a toreri, e, soprattutto, anche se il suo motivetto allegro ed infantile toglie un po' di solennità e raccoglimento all'atmosfera del luogo appena visitato, che ho ancora impressa in mente mentre scrivo.
Comunque, è un'associazione pienamente giustificata, dal momento che, anch'io, che sono un gatto nero inside, sono sempre stata piuttosto incline a subire il fascino, forse un po' inquietante ma sicuramente innegabile, di questi luoghi.
Nel corso degli ultimi anni, parlando casualmente con diverse persone, e surfando on line su siti e blog, ho scoperto che, in fin dei conti, non sono affatto da sola, e, anzi, il cosiddetto "turismo cimiteriale" è più diffuso di quanto si creda.

Certo, forse in Italia l'idea fa ancora alzare un sopracciglio, con un misto di stupore e sospetto, a più di una persona: il termine stesso suona un po' grottesco e fa venire in mente la Famiglia Addams in vacanza; e anch'io ammetto che, quando racconto che vado in giro a vedere (anche) cimiteri, mi sento quasi in dovere di dovermi giustificare (pur trattandosi, magari, di una delle mete turistiche più gettonate del luogo, come ad esempio il Pere Lachaise a Parigi), di tranquillizzare il mio interlocutore, che tendenzialmente sta come minimo sgranando un po' gli occhi, che non ho strane perversioni necrofile e che non ci vado per compiere riti di magia nera.

Nei paesi di cultura protestante la cosa mi pare decisamente più accettata e classificata all'interno dell'ambito della normalità.
E mi viene anche in mente come, ad esempio in Inghilterra o in Svezia, i cimiteri siano anche usati come normali giardini, dove la gente va a passeggiare o si siede su una panchina a leggere un libro e mangiare un panino in pausa pranzo. E' un approccio culturale diverso - non dico nei riguardi della morte, ma nei riguardi del luogo del riposo eterno. A noi probabilmente sembrerebbe un po' dissacrante, o forse solo inquietante, sedersi/mangiare/chiacchierare... insomma, vivere come se nulla fosse di fianco ad una tomba. Probabilmente è perché siamo Cattolici. O probabilmente il loro approccio più easy nei confronti della cosa non gli deriva dall'essere Protestanti, bensì dal fatto di essere ancora influenzati, dopo molti secoli e generazioni, dalla concezione dell'Antica Religione, che non vedeva la Vita e la Morte lungo una linea retta ma all'interno di un circolo.

Non importa, sia quel che sia.
Anche se ho passaporto italiano e battesimo cattolico, sono pur sempre un gatto nero, quindi mi posso comunque lanciare nel turismo cimiteriale in piena libertà.
Alcuni cimiteri, del resto, sono veri e propri musei all'aria aperta: le opere che li popolano non sono celebri e blasonate come quelle che risiedono sotto una teca di vetro, curate e riverite dal mondo intero, nei musei veri e propri, ma in alcuni casi non hanno davvero nulla da invidiare ai capolavori che hanno scritto la storia della scultura.

Quelli sono capolavori per i vivi, questi sono capolavori per i morti.
Non sono tenuti sotto chiave, iperprotetti contro il tempo e gli agenti atmosferici, non sono ammirati quotidianamente da migliaia di sguardi innamorati.
Sono coperti di polvere e muffa, divorati dall'umidità e dalle crepe, perché d'altro canto rappresentano la caducità terrena. Non vengono guardati con ammirazione ma solo con dolore, e chi alza gli occhi verso di essi non riesce a vedere la loro bellezza, perché ha lo sguardo offuscato dalle lacrime.
Sono essi stessi una rappresentazione del dolore, con un'autenticità ed un'espressività così straziante da essere viva. Il lutto, la perdita sono l'unica vera livella, come diceva qualcuno: sono una ferita che è sempre viva per tutti, che non conosce geografia, epoca o classe sociale.

Ed è quindi il fatto di essere capolavori creati per i morti che li rende vivi, che li rende eterni.
Perché eterno è il dolore intrinseco alla natura umana, eterno e riconoscibile da tutti.

Quello di Staglieno, a Genova, è uno dei cimiteri monumentali più belli ed importanti d'Europa.
Ginger Cat mi ci ha portata in un afoso sabato di fine settembre, raccontandomi come la sua bellezza sia anche circondata da un alone di mistero.
Un alone fatto di raffiche di aria fredda che ogni tanto si sentono anche nelle giornate più calde e prive di brezza. E fatto anche di chi dice di aver incontrato una vecchina che si aggira fra le tombe chiedendo indicazioni, senza che nessun altro l'abbia vista.
Dalla stazione Principe prendiamo il 34 fino al capolinea ed entriamo, acquistando un girasole per la nonna di Ginger.
Il cimitero risale alla seconda metà dell'800, ma ha continuato ad espandersi con gli anni ed è ormai talmente ampio che per girarlo sono anche state predisposte due linee di autobus.
Cominciamo ad avventurarci per il nucleo originario del cimitero, un grande quadrangolo delimitato da arcate e passaggi coperti e con, al centro, a dominare su tutto, un Pantheon, raggiungibile con una lunga scalinata.

La pavimentazione di queste arcate è fatta di... lastre tombali, per cui, letteralmente, si passeggia sopra alle tombe. Vinco l'imbarazzo della cosa dicendomi che del resto anche nelle chiese spesso si finisce per fare lo stesso senza nemmeno accorgersene - ma questa è una vera e propria hall of fame dei trapassati.
Mi distraggono le punture delle zanzare: Staglieno ne è veramente infestato e in men che non si dica sia io che Ginger siamo completamente ricoperte di ponfi rossi. Anche se non vedrò nessun fantasma posso dire di aver incontrato parecchi vampiri...
Ma immediatamente la bellezza di quanto mi circonda ha la meglio sia sulle zanzare che sull'inquietante pavimentazione su cui poggiano i miei piedi: in ogni nicchia, in ogni pilastro, in ogni arco c'è un gruppo scultoreo, e ogni gruppo scultoreo racconta la sua storia di dolore con una grazia intensissima e struggente.


Ci sono tableaux vivant che sono riusciti a cristallizzare nella roccia la disperazione del lutto, la comunione dolorosa di coloro che restano, che si stringono e si abbracciano per soffocare la sofferenza, ma che, nonostante questo, si sentono soli.

Ci sono figure allegoriche di angeli che sormontano scheletri, a voler ricordare la speranza per chi crede che ci sia qualcosa dopo questa vita.

Ci sono metafore con barche che ammainano le vele, facendo della navigazione in mare aperto, a volte quieto, più spesso tempestoso, la similitudine perfetta dell'esistenza terrena per chi vive in una città portuale.

Ci sono figure solitarie appassite, piegate dalla malattia o dal dolore, che reggono in mano fiori recisi, che appassiranno anch'essi.


C'è chi grida, chi si accascia, chi sforza compostezza ma si tradisce con una smorfia di disperazione incredula, con gli occhi gonfi.

C'è la Venditrice di Noccioline, una popolana che faceva l'ambulante vendendo arachidi e ciambelle, e che mise da parte il denaro guadagnato per poter commissionare ad uno dei più rinomati scultori dell'epoca il proprio monumento funebre. E questo è ben più del quarto d'ora di celebrità profetizzato da Andy Warhol: questa statua è tutt'oggi una delle più note e fotografate del Cimitero.

Regna un silenzio surreale e sacro, tanto che anche i nostri commenti sulla bellezza e la particolarità di alcune statue si fanno bisbigliati, per non dissacrarlo. Il sole splende in alto nel cielo, scivolando con garbo attraverso le arcate, ed i suoi raggi creano giochi di luci ed ombre che fanno sembrare le statue ancora più vive, che regalano ancora più trasporto al fiume di emozioni che racchiudono nei loro lineamenti perfetti, nella cura dei loro dettagli.

Sullo sfondo, alberi, erba, una vegetazione a tratti un po' incolta e ribelle, verso cui lo sguardo triste di alcune statue protese verso le arcate anela - forse anelando ancora alla vita, alle cose belle che i loro occhi non possono più vedere, al tepore del sole che la loro pelle non riesce più a sentire.

Mark Twain, nella sua visita a Staglieno nel 1869, le aveva definite "nuove ed immacolate come la neve". Oggi è più una neve sporca quella di cui sono fatte: la spessa polvere che le ricopre le fa somigliare più alla roccia che al marmo; ma rimane intatto, o forse ne viene addirittura accentuato, il realismo della loro intensità.
Fuori dal nucleo storico la strada si fa in salita.

Ci sono saliscendi e c'è una ripida scalinata dietro ad un cancello arrugginito, ricoperta di aghi di pino e ramoscelli, che porta al Cimitero Inglese.

Qui una semplice croce con un fregio decorativo ricorda la memoria di Constance Lloyd, moglie di Oscar Wilde. Non ci sono tracce di rossetto sulla sua lapide - quello è un saluto solo per suo marito.

Il Cimitero Inglese è più semplice e sobrio, e le statue dell'ingegner Bentley e consorte saltano all'occhio in maniera particolare.
Sono poste su due diversi piedistalli, ma è come se si parlassero.
Lei, compita, abbassa timidamente lo sguardo; lui è proteso verso di lei, come se la stesse corteggiando. Tende la mano verso di lei, come se volesse invitarla a prenderla, o come se non volesse lasciarla andare.
Guardo le iscrizioni sulle lapidi: lei è morta nel 1856, lui 20 anni dopo...

Sì, i cimiteri sono musei all'aria aperta.
Ma non solo musei d'arte.
Anche e soprattutto musei di vita umana...

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