di Maria SerraLa notizia dell’avvio da parte di Taiwandi un programma di costruzione di navi da guerra dotate di tecnologia stealth e di missili guidati, suscita alcuneimportanti riflessioni sulle dinamiche militari e geopolitiche checaratterizzano il Mar Cinese Meridionale e, in una prospettiva allargata,l’intera macro-regione del Pacifico. Il piano taiwanese rappresenta evidentementeuna risposta all’espansionismo militare della Cina, che, con l’imminente varodella prima portaerei classe Shilang (l’ex Varyag, la portaerei che appartenevaall’Unione Sovietica e che fu acquistata dall’Ucraina nel 1998), compie unimportante passo in avanti per il controllo militare e, dunque, anchepolitico-economico, delle acque circostanti.Chela Cina, dopo il sorpasso al Giappone, punti a diventare la prima economia delmondo si sapeva. Che stia tentando di estendere la propria influenza economicaanche nei Paesi in Via di Sviluppo, puntando innanzitutto sulle risorse delcontinente africano e sui relativi investimenti, è un altro dato di fatto. Chestia approntando anche un importante potenziamento dal punto di vista militareera altrettanto noto, anche se, in merito a ciò, occorre fare alcuneprecisazioni sulle direttrici che tale programma intende perseguire.Considerandoil contesto strettamente asiatico, la Cina ha rafforzato l’asse centrale,rappresentato da una costante partnershipstrategica con la Russia, sia in campo economico-commerciale (sancita con lacreazione dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai), sia nell’ambitostrettamente militare (con l’acquisto di motori che vengono installati suicaccia di ultima generazione Sukhoj-35 e il possibile acquisto di aerei ditrasporto lijushin-476, che dovrebbero sostituire i cargo sovieticilijushin-76); in secondo luogo la Cina ha potenziato l’asse meridionalerappresentato dalla crescente alleanza con il Pakistan, in funzione,evidentemente, anti-indiana. Pechino è diventata il maggior partner militare diIslamabad, soprattutto a seguito del programma di installazione di un radarcinese puntato sul nascente porto pakistano di Gwdar (snodo navale puntatoverso il Golfo di Aden e il Golfo Persico). Sempre per contenere la minacciaindiana ed estendere la propria influenza sull’Oceano Indiano, la Cina mantieneproprie basi di osservazione nella regione del Bengala.Ma èsul fronte marittimo, specialmente nella direttrice sud-orientale, che si staattualmente concentrando la nuova strategia di Pechino. La riunificazione diTaiwan, in questo senso, rappresenta il primo obiettivo della Cina: Taiwan èun’economia evoluta, fortemente globalizzata, ma anche un nodo strategico cheprotegge, da un lato, la Cina continentale e, dall’altro, la proietta,potenzialmente anche in maniera aggressiva, verso il Pacifico, le costesud-occidentali cinesi e il Sud Est asiatico, superando eventualmente ilGiappone nella rete del commercio regionale e mondiale. Taiwan apre la strada,infatti, per una maggior penetrazione nello stretto della Malacca – fra laMalysia e l’isola di Sumatra –, snodo principale delle vie di comunicazione edelle rotte commerciali fra Oceano Pacifico e Oceano Indiano. Questo corridoioprivilegiato, non di meno, permetterebbe un potenziamento delle relazionicommerciali con i Paesi dell’Associazione delle Nazioni dell’Asia Sud-Orientale(ASEAN), anche in vista della creazione di una possibile area di libero scambioa carattere regionale ma a vocazione mondiale. Solo con la riunificazione diTaiwan, dunque, Pechino potrà dunque iniziare i veri progetti di marinaintercontinentale, cioè quando raggiungerà un potenziale geopolitico che lepermetterà di concorrere con le altre potenze mondiali, USA in primis.
Fonte: Limes
Taiwanresta, infatti, un primo, fondamentale, tassello di una strategia navale piùampia che consta di tre diversi livelli operativi: il primo, di cui la stessaisola fa parte, implica l’estensione dell’influenza nel Mar Giallo, nel MarCinese Orientale e in quello Meridionale, fino a comprendere le Filippine el’arcipelago di Ryukyu. Questa linea di isole comprende le isole Senkaku –contese con il Giappone – e, soprattutto, le isole Spratley. Da qui passa unterzo del traffico commerciale del mondo e l’80% del petrolio destinato alGiappone e alla Corea del Nord. In ragione di ciò la Cina si sta anchepreoccupando di potenziare l’Agenzia per la Sicurezza Marittima Nazionale. Unsecondo livello operativo comprende una seconda linea di isole oceaniche, e ilcui controllo dovrebbe completarsi entro il 2025: si tratta del Mar delGiappone, il Mare delle Filippine e indonesiano, le isole Curili, Hokkaido, leMarianne e Palau. Da questo punto di vista le Curili rappresentano un fulcrostrategico perché, poste tra l’isola giapponese di Hokkaido e la penisola russa dellaKamchatka, sono sede di importanti basi navali, aeree e dei sottomarininucleari russi e rappresentano una significativa testa di ponte verso gli StatiUniti. Infine, il terzo livello operativo – da completarsi entro il 2050 –consiste nell’estensione dell’influenza fino all’isola di Guam: l’isola piùoccidentale posta sotto il “controllo” degli USA (ha lo statuto di “territorionon incorporato” agli Stati Uniti) e in cui Washington, dopo l’11 settembre, haposto un'importante base militare dotata anche di 24 bombardieri B1 e B2, usaticome deterrente anche contro la Corea del Nord.Daqui si comprendono i motivi della futura strategia cinese: interessi economici,politici e militari si intrecciano fra di loro e fanno della macro-regione inquestione il principale scenario sul quale Pechino sta fondando la sua futurapolitica estera per diventare la prima potenza mondiale. Èpur vero che lo scorso 31 marzo il governo cinese ha pubblicato il nuovo LibroBianco sulla Difesa (“China NationalDefense”), in cui viene affermato che il Paese continuerà a perseguire ipropri interessi militari, non cercando l’egemonia e non espandendosimilitarmente. Sebbene anche il bilancio della Difesa sia cresciuto rispettoagli anni precedenti (81,2 miliardi di dollari, +7,5% rispetto alla spesa del 2009),Pechino sostiene che le nuove spese sono state ragionevoli, adeguate al nuovocontesto della sicurezza mondiale e giustificate dall’adeguamento delletecnologie e degli armamenti, dal supporto delle truppe impegnate nellemissioni internazionali e nelle operazioni di soccorso mondiali. Ma è difficilecredere che il potenziamento militare cinese sia davvero solo per scopidifensivi.Adogni modo dovrebbe esser venuto meno uno dei due principali ostacoliall’espansionismo marittimo del Dragone: il Giappone, che alla fine del 2010aveva annunciato un nuovo programma difensivo – modificando peraltro lacostituzione – difficilmente, nella grave crisi in cui riversa dopo ilterremoto dell’11 marzo, potrà porre un freno, nonostante possieda un’assaiattrezzata marina, alle ambizioni del vicino. Gli Stati Uniti restano, dunque,il baluardo del contenimento cinese nel Pacifico. Non sarebbe, dunque, cosìazzardato immaginare un dispiegamento avanzato della VII flotta statunitensenel Pacifico, un riarmo immediato degli alleati americani nel contestoregionale asiatico e, dunque, un inasprimento dei rapporti fra le due Coree e,soprattutto, fra Taipei e Pechino. Per quanto riguarda Taiwan, tuttavia, ildiscorso è più delicato, perché a Washington non converrebbe irritare ilgigante cinese da una posizione così ravvicinata. Taiwan, comunque, restapronta per contenere fin da subito l’espansione cinese, dotata com’è (comel’Australia) di un significativo numero di sottomarini e di dodici aereiLockheed P3-C adatti alla ricognizione marittima e alla guerraanti-sottomarina.Allostato attuale delle cose, comunque, la Cina non sembra essere intenzionata asfidare anche un’eventuale coalizione anti-cinese nel Pacifico. Per cui il suopotenziamento navale sembra per ora destinato a continuare inarrestabile. Eproiettato ad un futuro – e forse inevitabile – confronto con gli Stati Uniti. * Maria Serra è Dottoressa in Scienze Internazionali (Università di Siena)