Cina interna

Creato il 16 giugno 2015 da Bloglobal @bloglobal_opi

di Paolo Balmas

La Repubblica popolare cinese compirà 66 anni il prossimo 1° ottobre 2015. Essa è un’espressione politica molto giovane rispetto ai seimila anni, e anche più, di storia che vantano le genti che ancora oggi la popolano.

La Rivoluzione maoista si è impegnata sin dalle prime ore a diffondere e imporre un’ideologia e un sistema di governo in modo tale da unire il più saldamente possibile le diverse realtà e culture con cui si misurava man mano che espandeva il proprio potere. I tentativi di imporre un sistema economico collettivista hanno introdotto cambiamenti radicali – considerati allora irreversibili – soprattutto nelle campagne. Il primo atto della neonata Repubblica consistette nel distribuire equamente, per la prima volta nella storia, alcune decine di milioni di ettari coltivabili a circa trecento milioni di contadini eliminando la classe dei grandi proprietari che da sempre avevano gestito le ricchezze della fertile terra cinese [1]. A volte tali politiche sono state fallimentari, altre volte hanno raggiunto obiettivi sorprendenti. Sebbene sia difficile comprendere i reali parametri di un passato recente così importante, ma privo di analisi approfondite e avvolto sempre in varie forme di giudizio politico e a volte anche di pregiudizio razziale, di certo si ricorda quanto sia stato caro il prezzo pagato per ottenere qualsiasi tipo di miglioramento. Ad esempio, si pensi al periodo del “Grande balzo in avanti” e alla rottura con l’URSS (1958-1962) professati da Mao Zedong. Nelle campagne, alle comuni agricole fu imposta la presenza degli altoforni per la produzione autonoma dei manufatti in metallo; il complesso industriale del Paese, invece, si ampliò da una base di nove milioni di operai a una di venticinque milioni nell’arco di un solo anno (fra il 1957 e il 1958). La politica degli altoforni richiese l’attività delle “squadre d’urto” che lavorarono anche la notte. Il Quotidiano del popolo ricordava ai rappresentanti locali del Partito Comunista Cinese (PCC) di far dormire gli operai-contadini almeno sei ore al giorno. I risultati non furono eccezionali; in alcune province furono, anzi, disastrosi.

Un altro momento fondamentale della recente storia economica cinese fu l’apertura all’Occidente di Deng Xiaoping e l’introduzione del principio di proprietà privata. Anche in questo caso i benefici non poterono diffondersi presso la popolazione intera. Tuttavia, da allora, la Repubblica Popolare è riuscita a costruire un ambiente relativamente saldo che ha permesso dagli anni Ottanta del Novecento a oggi una crescita vertiginosa, fino a dare vita alla seconda economia del mondo.

I risultati di questa vittoria, chiaramente, non sono tutti positivi. Innanzitutto, il divario che si è creato fra la popolazione rurale interna e quella cittadina, in particolare quella costiera, è troppo profondo e richiede un intervento deciso e immediato per assicurare una maggiore distribuzione della ricchezza. In secondo luogo, la produzione di energia si fonda ancora sul carbone. Ciò ha imposto l’attuazione di una strategia politica volta alla progressiva sostituzione di questa fonte, attraverso un nuovo sistema di approvvigionamento e una riforma del settore piuttosto delicata, visto che alcune province vivono essenzialmente dell’attività d’estrazione carbonifera. In questo ambito, risulta tutta la complessità della politica cinese, come insieme di province assai diverse l’una dall’altra e come potenza tanto marittima che continentale [2]. (…)

Sebbene sia chiaro che alcuni processi interni non possono più essere distinti dalle dinamiche esterne, il presente Research Paper si propone di offrire una visione complessiva di quali siano i principali dilemmi che affliggono la politica interna della Cina e le direzioni che sono state intraprese per risolverli, tralasciando appunto le ripercussioni che questi potranno avere sulla politica estera e, viceversa, l’influsso di agenti esterni sulle scelte effettuate dal governo cinese.



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