Giovedì 9 Febbraio ore 21.00
al Cinema Cristallo a Fidenza
Inquietudine
e determinazione di una madre cinese nell’Italia immobile della
Laguna
Shun
Li confeziona quaranta camicie al giorno per pagare il debito e i
documenti che le permetteranno di riabbracciare suo figlio. Impiegata
presso un laboratorio tessile, viene trasferita dalla periferia di
Roma a Chioggia, città lagunare sospesa tra Venezia e Ferrara.
Barista dell'osteria ‘Paradiso', Shun Li impara l'italiano e gli
italiani. Malinconica e piena di grazia trova amicizia e solidarietà
in Bepi, un pescatore slavo da trent'anni a bagno nella Laguna. Poeta
e gentiluomo, Bepi è profondamente commosso dalla sensibilità della
donna di cui avverte lo struggimento per quel figlio e quella sua
terra lontana. La loro intesa non sfugge agli sguardi limitati della
provincia e delle rispettive comunità, mettendo bruscamente fine
alla sentimentale corrispondenza. Separati loro malgrado, troveranno
diversi destini ma parleranno per sempre la stessa lingua. Quella
dell'amore.
Per
quelli che ‘fanno il cinema a Roma' e per cui un veneziano vale un
triestino, il Veneto è un set popolato da improbabili abitanti che
si limita a fare da sfondo a storie italiane altrettanto improbabili.
Serviva evidentemente un po' di sangue di quella terra per
raccontarne la sorprendente bellezza e per far crescere un film
preciso nell'ambientazione e credibile nelle emozioni lambite ‘ogni
sei ore' dalla Laguna. Partendo da un luogo esistente, ‘provocato',
smontato e ricomposto attraverso l'osservazione soggettiva di
un'immigrata, Andrea Segre lo mostra nelle concrete trasformazioni
stagionali e nelle più sottili conversioni sociali. Contro gli
stranieri impersonali e posticci di Patierno e le sue ‘cose
dell'altro mondo', il documentarista veneto ribadisce quelle di
questo mondo e di questa Italia in rapporto dialettico, ostile o
conciliato, con l'altro da sé. Un altro che è persona e mai
personaggio.
Io
sono Li è un'architettura delle posizioni relative tra le figure in
campo, al cui centro si colloca la protagonista di Zhao Tao, centrata
in ogni dove e concentrata su un proponimento che ha il volto di un
bambino di otto anni. Come satelliti le gravitano intorno pescatori
cauti e imprenditori (cinesi) rapaci che non la spostano da ‘Li',
che è insieme identità, punto, momento e baricentro. Dopo i
documentari (Magari le cose cambiano, Il sangue verde, La Mal'ombra,
Come un uomo sulla terra) e congiuntamente alla ricerca sociale,
Segre debutta nel cinema a soggetto, sposando sentimenti affettivi e
sociali con una limpidezza di esposizione che non riesce sempre a
scongiurare l'inciampo didascalico. Di fatto, pur romanzando con
sensibilità la realtà, il film non è in grado di rimettere in
gioco la finzione con la verità, incorrendo troppe volte in formule
da dibattito. Meglio sarebbe stato lasciarsi cullare dalle perifrasi
dei sentimenti, così magnificamente comprese nell'interpretazione
implosa di Zhao Tao e in quella lirica di Rade Šerbedžija.
Portatore sano della condizione umana di straniero lui, portatrice
pudica lei del cinema poetico e reale di Zhangke, del cambiamento
epocale della Cina e dell'incanto a cui rinuncia per cambiare anima.
Recensione di Marzia Gandolfi, da mymovies.it/film/2011/iosonoli