Cosa intendo per narrare? La capacità di dare consequenzialità a un percorso di trasformazione creativa e di comunicarlo agli altri. In questo senso, il cinema è doppiamente narrativo: ogni sequenza è una narrazione che, concatenandosi con le altre attraverso il montaggio, forma un’ulteriore unica o molteplice narrazione. La ragione di tutto ciò sta nel carattere intrinsecamente consequenziale del cinema, nel suo essere in divenire. Il divenire della letteratura è limitato allo sviluppo narrativo; il divenire del teatro è limitato al suo hic et nunc e al luogo deputato alla sua ambientazione; il divenire del cinema non ha vincoli di spazio e di tempo.
A seconda della sua metodologia narrativa, il cinema può dirsi a forte connotazione narrativa, a debole connotazione narrativa o antinarrativo. Nel primo caso, il film si compie nella trama stessa, ogni elemento è funzionale al suo percorso trasformativo. Si parla di debolezza narrativa quando la trama è un pretesto per tenere legate divagazioni sociali e psicologiche, gag comiche o altri espedienti diversivi. L’antinarratività si ha quando la trama viene fatta naufragare consapevolmente da inserti destabilizzatori dello sviluppo trasformativo.
Ma la dimensione assoluta del cinema si raggiunge quando queste tre metodologie narrative vengono dosate sapientemente dal regista nella creazione di un unico film: è il cinema metanarrativo, capace di affrancarsi completamente dagli obblighi imitativi e diversivi per elevarsi ad uno status di arte pura. A patto che si arrivi alla metanarrativa dopo aver acquisito maestria in tutte e tre le metodologie narrative, perché di cialtroni che s’inventano maestri è pieno il mondo.
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