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Cinema e Vita - La prima recensione di Angela Laugier dopo la tragica morte del compagno di una vita

Creato il 25 agosto 2013 da Tafanus

PREMESSA - L'abituale recensione domenicale, è questa volta "anche" un atto d'amore di Angela per Mario. Ed è accompagnata da queste bellissime parole, che credo debbano essere condivise con voi. Come molti di voi sanno, questo blog mi ha procurato momenti di bruttisimi rapporti "disumani", ma anche tanti momenti splendidi. Amicizie virtuali che si sono trasformate in amicizie "fisiche", ostacolate dalle distanze, ma forse proprio per questo mai venute a noia. Pochi insegnamenti dati, e molti ricevuti. Di tutto sono grato a tutti, ma oggi - come un anno fa con le parole che hanno accompagnato la scomparsa di Roberto il Partigiano da parte di suo figlio - credo di dovere un particolare ringraziamento ad Angela, per ciò che ha dato a me, e credo a molti altri, con la sua dolorosa ricerca di serenità, e di "rassegnazione attiva". Un insegnamento. Tafanus
Caro Antonio,
Ti ringrazio di tutto: delle tue parole di conforto, della catena di solidarietà che sei riuscito a creare in breve tempo e anche della pubblicazione della lettera, che in un primo momento mi ha sorpresa, ma che ora, invece, mi sembra un grande atto di rispetto e di generosità nei miei confronti. Sono davvero commossa della partecipazione di tutti al mio dolore pesantissimo. Una lezione ho tratto dagli eventi di questi giorni: la morte e la vita, che sono strettamente correlate, non dipendono dalla nostra volontà: ognuno di noi ha probabilmente un destino biologico non travalicabile, oltre il quale non è possibile andare.
Credo che la cultura occidentale non accetti questo dato, il che se è positivo, in quanto permette alla scienza di spostare più avanti il momento dell'addio, dall'altro lato ci coglie costantemente impreparati ad affrontare la morte, che in ogni caso ci sarà ineludibilmente, scienza o no, medicine o no. Questo è un bel guaio, perché non solo rende più difficile elaborare il nostro lutto, ma rende anche molto difficile il nostro rapporto con chi sta morendo, che magari vorrebbe sentirci vicino, con tutto il calore di cui siamo capaci. Sono riuscita, però, almeno a realizzare questo momento di presenza, mi verrebbe da dire tattile, e ho sentito ricambiare la stretta della mia mano, calmarsi l'agitazione al solo poggiare la mano sul suo braccio: piccole cose, ma che spero abbiano aiutato Mario, almeno un po'.
Tutta questa riflessione mi ha riportato alla memoria un bellissimo film, che Mario e io abbiamo molto amato e che è insieme una riflessione sulla morte e sul senso della vita: Melancholia di Lars von Trier, recensito a suo tempo. Mi farebbe piacere, se non ti spiace, vederla domani sul tuo sito.
Angela

"Melancholia" (Il senso della vita) - Recensione di Angela Laugier

Melancholia
"MELANCHOLIA - Regia: Lars von Trier" 

Principali interpreti: Kirsten Dunst, Charlotte Gainsbourg, Kiefer Sutherland, Charlotte Rampling, Alexander Skarsgård, Stellan Skarsgård, Udo Kier, John Hurt, Brady Corbet- 130 min. – Danimarca, Svezia, Francia, Germania 2011.

Melancholia è in questo film il nome di un enorme pianeta che sta dirigendosi verso il nostro mondo che, infatti, ne verrà inghiottito.

Non credo, dicendo questo, di rivelare alcunché, né di togliere il piacere che deriva dalla visione del film, perchè è lo stesso regista che quasi subito ci rappresenta l’urto fra i due astri in una scena indimenticabile, lontanissima dalle immagini urlate che i film americani di fantascienza ci hanno abituati ad associare alla collisione planetaria: nessun effetto speciale o tridimensionale, nessuno scoppio catastrofico, ma semplicemente l’inglobamento dolce di quella minuscola pallina, che è la nostra Terra, dentro la superficie elastica e accogliente del grandissimo astro: un breve rigonfiamento, una vescica cosmica che non increspa neppure la superficie esterna dell’astro, che rapidamente la riassorbe in sé: la fine, dunque.

Melancholia è, infatti, una meditazione sulla fine, non solo del mondo, ma soprattutto nostra, un film sulla morte e, insieme sul senso della vita. Accompagnato dalla musica malinconica del Tristano e Isotta wagneriano, il prologo che ho descritto ci introduce, con una breve sequenza di quadri teatrali, allo scenario della tragedia degli ultimi giorni dei personaggi: un grande palazzo in riva al mare, con un retrostante giardino che è circondato da un fitto e intricato bosco, dal quale, a fatica, esce, trattenuta da un viluppo di radici che la tengono legata (citazione probabile del giogo bunueliano di Le chien andalou, ma non si tratta dell’unica citazione del regista spagnolo), Justine vestita da sposa.

Ha quindi inizio il film, che si sviluppa in due tempi, dedicati rispettivamente il primo a Justine e al giorno del suo matrimonio; il secondo a Claire, la sorella di Justine che vive nella lussuosa magione, nella quale si svolge la festa nuziale. Le due sorelle sono alquanto diverse fra loro: Justine è una donna di successo, con un ottimo lavoro, che riceve come dono nuziale una promozione professionale; Claire è la madre di un bimbo di cinque anni, nonché la moglie di John, il ricco signore padrone di quella casa. Nel corso del primo tempo, la radiosa sposina innamorata si trasforma in una donna inquieta che si stacca a poco a poco dalla vita: rifiuta il lavoro e la promozione appena ricevuta, rifiuta il marito, che le ha appena donato una piantagione di melograni (gli alberi della vita e della fecondità, secondo la tradizione orientale) e pare rasserenarsi alla luce sempre più vicina del misterioso astro, la morte, che contiene la spiegazione di tutto, la verità che tutti rifiutiamo, forti delle nostre conquiste scientifiche. La scienza, però, ci dice il regista, non ci attrezza ad affrontare la morte, poiché non fa che accrescere la nostra “υβρις”, allontanando da noi la coscienza della nostra fragilità e della nostra solitudine. Le radici che Justine vuole trovare sono nella terra (mi pare il senso della scena iniziale): questo le permette di “sapere” e di affrontare la fine con serenità.

Claire, all’opposto, crede di essere più forte di Justine (la considera malata), e di fronte al tragico destino che sta per coinvolgere lei e la sua famiglia, rifiuta di arrendersi e cerca un’irrazionale via di scampo.

Sarà Justine a rendere meno duro e doloroso il distacco dall’ esistenza per lei e per il piccolo, con un gesto che richiama al senso vero della vita. Stringersi la mano nell’attesa di ciò che è ineluttabile significa ritrovare la solidarietà, quella “pietas” leopardiana, che dà a ciascuno di noi l’unico conforto possibile di fronte al nulla che ci schiaccia senza pietà.

Il film è, a mio avviso, tra i più belli degli ultimi anni: rivela l’eccezionale talento del regista nel trasmettere, col linguaggio del cinema, un messaggio filosofico duro e difficile, coerentemente espresso attraverso una storia sempre interessante e tesa. Il film contiene immagini di grandissima suggestione simbolica, ispirate alla tradizione cinematografica nord-europea e non solo, ma anche attinte al repertorio della pittura: oltre al richiamo a Bruegel, esplicito, delle prime scene, o ad Albrecht Dürer, autore di una celebre Melancholia su acquaforte, si può scorgere, mi pare, anche quello alla Tempesta giorgionesca nella scena di Justine nuda di notte alla luce di Melancholia (la donna anche in questo caso, non oppone difese alla “tempesta” in arrivo). Bellissimo e a sua volta simbolico l’accompagnamento musicale.

Questo film, se il regista non si fosse lasciato andare, un po’ troppo scioccamente, al gusto della battuta sensazionale, avrebbe meritato di vincere la Palma d’oro a Cannes, per il modo lucido e coraggioso col quale viene presentato il messaggio nichilista e per la qualità della direzione di un cast eccellente.

Angela Laugier


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