Cinema - I figli di un dio minore? (Il figlio dell’altra) - Recensione di Angela Laugier

Creato il 24 marzo 2013 da Tafanus
Recensione del film: IL FIGLIO DELL’ ALTRA

Titolo originale: Le fils de l’autre

Regia: Lorraine Lévy.

Principali interpreti: Emmanuelle Devos, Pascal Elbé, Jules Sitruk, Mehdi Dehbi, Areen Omari, Khalifa Natour, Mahmood Shalabi, Bruno Podalydès, Ezra Dagan 105 min. – Francia 2012. 

Il tema dello scambio di neonati fu assai frequentato dal teatro antico che lo propose in tragedia o in commedia. La possibilità che simili eventi possano verificarsi anche oggi è rara; talvolta, tuttavia, qualche notizia di cronaca ci ricorda che, per quanto difficili, fatti del genere non sono impossibili. Proprio dalla cronaca prende l’avvio l’interessante film della regista francese Lorraine Lévy, che racconta la storia di due ragazzi, ora diciottenni, molto amati e splendidamente educati dalle rispettive famiglie, che per puro caso apprendono di essere stati scambiati alla nascita. Le rispettive madri li avevano partoriti in un ospedale attaccato dalle bombe: nella concitazione della fuga, si erano trovate fra le braccia, senza saperlo, il bebé sbagliato, cosa che non aveva impedito loro di amarlo, allattarlo, educarlo e farlo crescere nel migliore dei modi.

Probabilmente questa condizione di felice ignoranza delle proprie origini si sarebbe protratta all’infinito se Joseph Silberg, diciottenne di Tel Aviv, alla fine del liceo, non avesse voluto diventare, come suo padre, ufficiale dell’aviazione israeliana. Gli esami del sangue avevano rivelato l’anomalia del suo gruppo sanguigno, incompatibile con quello dei genitori; le successive ricerche avevano lasciano emergere la verità di quell’antico errore. Era naturale che la vita tranquilla di Joseph si trasformasse nell’ angoscioso interrogarsi circa la propria identità, soprattutto dopo aver appreso che il figlio ” vero”, quello che avrebbe dovuto essere lì, al posto suo, era un palestinese, Yacine Al Bezaaz, ora vivente nei territori occupati della Cisgiordania.

La vicenda perde pertanto i contorni del caso difficile da accettare, ma pur sempre privato, per diventare quasi l’emblema della situazione difficile dei Palestinesi e degli Israeliani, i due popoli, che, sia pure con diversi gradi di responsabilità, hanno seminato odi, diffidenze, risentimenti e rancori e hanno creato muri, barriere e fili spinati veri e metaforici, dietro i quali nessuno scorge l’umanità dolente del’altro, che è diventato a poco a poco “il nemico”. Eppure, poco oltre i crudeli confini che li separano, uomini e donne, giovani e anziani soffrono e  vorrebbero essere accettati senza paure e senza vendette, così come vorrebbero convivere in pace e amicizia le famiglie Silberg e Al Bezaaz, nell’interesse dei due ragazzi, che sono umanamente simili, nei sogni, nei valori e nelle speranze.

Le donne, più degli uomini delle due famiglie, conservatori e legati irrazionalmente a una identità prepotentemente esibita, saranno artefici del “miracolo” necessario, grazie al quale, un dramma familiare potrà trasformarsi in un’ occasione di conoscenza profonda, che, nell’interesse dei figli, renderà le due famiglie più accoglienti e più civili. Il film, interessante e sostanzialmente convincente, cade un po’ nel finale in cui un episodio violento, non necessario alla comprensione del film, pare diventare il motore dell’azione. Un vero peccato perché il melodramma non si addice alla narrazione della regista, asciutta e sobria nel corso di tutto il racconto.

(di Angela Laugier)


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