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Cinema - "Il regno d'inverno (Winter Sleep) - Recensione di Angela Laugier

Creato il 19 ottobre 2014 da Tafanus

Winter-sleepRecensione del film "IL REGNO D’INVERNO – WINTER SLEEP"  (di Angela Laugier)

Titolo originale: Kis uykusu
Regia: Nuri Bilge Ceylan

Principali interpreti: Haluk Bilginer, Melisa Sozen, Demet Akbag, Ayberk Pekcan, Serhat Mustafa Kiliç, , Nejat Isler – 196 min. – Turchia, Francia, Germania 2014.

Dopo aver diretto il bellissimo C’era una volta in Anatolia, il regista Nuri Bilge Ceylan è tornato con questo film, che al Festival di Cannes gli ha fatto guadagnare, finalmente, la Palma d’oro, ancora a parlarci dell’Anatolia, sia pure limitatamente alla regione della Cappadocia. Lo scenario nel quale si svolge il suo ultimo lavoro, quindi, oltre che essere di insolita bellezza e di grande fascino, è anche simbolico del difficile rapporto fra uomo e natura:  le case scavate nella pietra dai tempi più remoti, nei mesi estivi paradiso dei turisti, sono in inverno luoghi freddi e inospitali, che le abbondanti e continue nevicate isolano dal resto del mondo, tanto che lungo le strade, sempre meno percorribili, rari stranieri si avventurano: qualche giapponese o qualche temerario in vena di sfidare il gelo e le insidie della natura. Era nato lì e non se ne era mai allontanato del tutto il protagonista di questo film, l’ enigmatico attore teatrale in pensione Aydin (Haluk Bilginer): nonostante la sua cultura in apparenza occidentale e razionalistica, era tornato a un certo punto della vita alla sua terra gelida, senza abbandonare, tuttavia, l’amore per il teatro che in gioventù lo aveva spinto a Instanbul, la grande metropoli, la più europea delle città anatoliche. Grazie al computer, a Internet e a tutti gli straordinari mezzi della comunicazione globale, ormai arrivati anche in Cappadocia, egli continuava a tenere i contatti col mondo della cultura, indispensabili per completare la stesura dell’opera, da tempo iniziata, sulla storia del teatro turco, coronamento e sintesi della grande passione di tutta la sua vita. Aydin, dunque, si era ritirato in una bella casa di pietra, l’aveva trasformata in un albergo (che aveva chiamato … Othello: un po’ Shakespeare e un po’ hotel) accogliente e confortevole per i turisti più sofisticati, ma non se ne occupava direttamente: la gestione era nelle mani del fedele Hidayet (Ayberk Pekcan). Talvolta vi si facevano vedere le due donne della sua famiglia, entrambe intelligenti ed evolute: la giovane Nihal (Melisa Sozen), la bella moglie, che, pur dipendendo da lui, era faticosamente riuscita a ritagliarsi spazi di libertà personale, conquistando per sé anche un’ala della casa, e Necla (Demet Akbag), la sorella, tornata anche lei da Instanbul, dopo il divorzio. Aydin era molto ricco ed era diventato padrone di molte altre case della zona, che concedeva in affitto a famiglie povere, alcune delle quali stentavano a tirare avanti e perciò non sempre riuscivano a pagarlo. Così era accaduto che nella casa di due fratelli, l’imam Ismail (Nejat Isler) e il fratello Hamdi (Serhat Mustafa Kiliç), Hidayet, senza pensarci troppo, avesse fatto pignorare qualche elettrodomestico. Nel tempo più tranquillo dell’anno e nel luogo apparentemente più immobile e letargico, dunque, stavano emergendo a poco a poco tensioni violente, che, represse a lungo nel cuore dei personaggi, ora si rivelavano in tutta la loro forza esplosiva con la sassata del piccolo Elias, il figlio di Hamdi, all’inizio del film, che fulmineamente ci porta nel cuore dei problemi, ai quali, presto si aggiungeranno la  rabbia impotente di Nihal, la misteriosa uscita di scena di Necla, il falò del denaro verso la fine del film, nonché le inenarrabili e vane discussioni, fra tutti i personaggi del film, gioco al massacro attraverso il quale ciascuno, anziché confrontare con gli altri i propri brandelli di verità, recita ipocritamente la parte che si è assegnato, senza alcuna sincera volontà di comporre i dissidi.

Per tutta la durata del film, i personaggi mantengono in parte l’indecifrabilità che li aveva connotati fin dall’inizio, ma è soprattutto Aydin il più sfuggente, colui che si presenta di volta in volta diverso, come si conviene a un attore della sua consumata esperienza, capace di ribaltare continuamente l’immagine di sé, grazie alle sue abilità verbali e dialettiche, accompagnate da grande forza espressiva, ma grazie soprattutto al potere di persuasione, mai esibito, ma implicito, della sua ricchezza, che ne fa davvero il dominatore degli uomini e delle donne dell’intera comunità, nonché del piccolo Elias e di tutte le creature innocenti, come gli animali che per causa sua soffrono senza reagire e che rappresentano sul piano simbolico il dolore che accomuna tutti quelli che dipendono, in qualche misura, da lui. Chi è dunque davvero Aydin? Che cosa significano la sua affabilità di facciata, i bei modi, la raffinatezza della sua cultura? Il film non dà risposte: a noi tocca interpretare gli indizi che arrivano dalle immagini e dalle vicende  per riflettere sul ruolo non solo sociale e politico, ma filosofico del personaggio a cui dà vita. Il film mi è sembrato davvero molto bello e da vedere, per la bellezza delle immagini, per gli inquietanti interrogativi che solleva, per la finezza dell’analisi che il regista dispiega con molta lentezza (e come potrebbe essere diversamente?), ma con ottima capacità di coinvolgimento dello spettatore, grazie anche all’eccelsa interpretazione di tutti gli attori. Un film che è anche una bella avventura intellettuale per chi guarda: non mi sembra poco!

Angela Laugier

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