Cinema - Il ruolo del caso (Locke) - di Angela Laugier

Creato il 18 maggio 2014 da Tafanus

Recensione del film "LOCKE" (di Angela Laugier)
Regia: Steven Knigh

Unico interprete: Tom Hardy

Voci al telefono: Ruth Wilson, Olivia Colman, Andrew Scott, Ben Daniels – 85 min. – USA, Gran Bretagna 2013.

Ivan Locke (Tom Hardy) era un uomo come tanti, un gran lavoratore con una bella famiglia: moglie affettuosa, Katrina, e figli che lo aspettavano ogni sera, dopo le lunghe giornate del suo lavoro da costruttore edile. Era un bravissimo capo cantiere, attentissimo non farsi sfuggire neppure il più piccolo particolare del lungo processo al termine del quale sarebbero sorti, come per miracolo, i “suoi” grattacieli altissimi e solidissimi, a prova di uragani e terremoti. Lo scrupolo, in effetti, non è mai troppo in questo tipo di lavoro, perché le fasi delicate sono molte e, apparentemente,  insignificanti: basta una minima, quasi impercettibile variazione nella composizione del calcestruzzo per mettere in pericolo l’equilibrio statico della costruzione; basta non aver comunicato per tempo ai comuni di competenza che occorre bloccare il traffico a una certa ora, per non rendere possibili i controlli indispensabili a evitare adulterazioni e frodi nella fornitura di quel miracoloso impasto! Ivan era, perciò, diventato un vero genio della programmazione, nel lavoro, come nella vita. Aveva costruito e organizzato con altrettanta cura anche la sua famiglia, luogo della condivisione degli affetti e dei riti domestici davanti alla TV, cementato dal comune tifo per la squadra di calcio: tutti con la stessa maglia dei calciatori, con gli hot dog e le bibite giuste per discutere delle prodezze e degli errori durante la partita. Figlio non riconosciuto da un padre irresponsabile che l’aveva costretto a umilianti situazioni e a percorsi in salita sempre e dovunque, Ivan aveva scrupolosamente badato di evitare ai propri figli condizionamenti così negativi e aveva trovato in Katrina la madre, la moglie e l’alleata serena ed equilibrata, giusta per i bambini e ideale per lui. La vita, però, per quanto organizzata e programmata con ogni attenzione, perché nulla venga lasciato al caso, può riservare sorprese e imprevisti, come quella volta che, al termine di uno stage che per due settimane lo aveva tenuto lontano da casa, dopo qualche bicchiere di troppo, Ivan aveva passato la notte fra le braccia di Bethan: una scappatella senza importanza e senza implicazioni sentimentali, scusabile dopo tanti anni di matrimonio. Bethan, però, era rimasta incinta, gliel’aveva comunicato dicendogli anche che avrebbe tenuto il bambino ad ogni costo. Questo, davvero, gli aveva scombinato i piani: avrebbe di sicuro riconosciuto quel bambino, perché quel figlio mai sarebbe stato umiliato come lui da piccolo. Katrina avrebbe capito e lo avrebbe aiutato. Il problema era quello di parlargliene, ma mancavano due mesi, c’era tempo: giusto il tempo per portare a termine la “sua” costruzione più impegnativa, la più alta del mondo. Senonché, del tutto all’oscuro dei problemi della famiglia, dei guai e dell’arrivo del calcestruzzo, quel bambino, impaziente di nascere, aveva anticipato di due mesi la data prevista e ora costringeva Ivan a occuparsi di lui, che avrebbe invece dovuto essere già a casa per guardare la partita!

Tutta questa vicenda ci viene raccontata da Ivan, alla guida dell’auto, mentre, in piena notte, percorre l’autostrada, cercando di raggiungere Londra, dove Bethan è stata inaspettatamente ricoverata all’ospedale per partorire. Non vedremo mai né Katrina, né i due bambini, né Bethan, né il suo sostituto Dolan che dovrà farsi carico dell’arrivo del calcestruzzo: sentiremo le loro voci, impaurite, preoccupate, incredule, furenti, attraverso il cellulare a cui freneticamente, in un crescendo di tensione emotiva, Ivan cerca di rispondere, mettendo, per la prima volta in gioco tutto se stesso, il proprio lavoro, e gli affetti familiari, e sfogando la rabbia, a lungo covata, nelle feroci invettive contro il padre.

Il film che ne risulta, con un solo interprete, il bravissimo e semi sconosciuto Tom Hardy, riesce eccezionalmente a dilatare lo spazio dell’abitacolo minuscolo in cui avvengono gli scambi telefonici per offrirci squarci e scorci della vita di Ivan e del suo passato familiare senza flashback, e senza effetti claustrofobici, ma semplicemente grazie a una sceneggiatura solidissima e impeccabile, accompagnata da una straordinaria e coloratissima fotografia, ricca di effetti astratti, bellissima.

Cinema di alto livello, costato pochissimo e girato in tempi brevissimi (meno di una settimana), accolto con molto successo all’ultimo Festival di Venezia, dove avrebbe sicuramente stravinto se non fosse stato presentato fuori concorso. Chapeau!

Angela Laugier


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