Titolo originale: "Pas son genre"
Regia: Lucas Belvaux
Principali interpreti: Émilie Dequenne, Loïc Corbery, Sandra Nkake, Charlotte Talpaert, Anne Coesens, Danièla Bisconti, Didier Sandre, Martine Chevallier, Florian Thiriet, Annelise Hesme, Amira Casar, Tom Burgeat, Kamel Zidouri, Christophe Moyer, Philippe Le Guay, Orjan Wikström, Michel Masiero, Tiffany Coulombel, Floriane Potiez, Luc Samaille, Philippe Vilain – 111 min. – Francia 2014.
Questo film viene presentato come una commedia, ma non lo è, nonostante qualche volta ne abbia l’apparenza. Neppure, però, si può definire un film drammatico, o, tantomeno, tragico. Se non fosse per la mania di classificare, che impone, non si sa perché, di trovare a ogni costo un “genere” cinematografico in cui incasellare ogni pellicola, si direbbe semplicemente una “tranche de vie”, cioè il racconto impersonale e realistico di un episodio di vita reale, secondo gli schemi del romanzo naturalista: le frequenti citazioni da Zola, nel corso del film, sembrerebbero autorizzare questa lettura. A orientare, però, con maggiore precisione l’interpretazione del film è un altro riferimento letterario più volte utilizzato dal cinema francese, in particolare da Kechiche, nelle due opere La schivata e La vita di Adele, ovvero Marivaux, non citato espressamente, ma presente e neppure troppo sotto traccia, visto che il libro di riflessioni sull’amore scritto dal filosofo protagonista del film si intitola: De l’amour et du hazard, quasi come la celebre commedia* del drammaturgo barocco francese. Ci troviamo, allora, di fronte a un racconto filosofico, cioè alla meditata riflessione su un fatto che pur mantenendo tutte le caratteristiche di una storia vera o vissuta realmente, assume l’aspetto dell’apologo morale secondo la più consolidata tradizione del “conte philosophique”.
Si chiama Clément Le Guern (Loïc Corbery) il professore di filosofia che, insieme alla parrucchiera Jennifer (Émilie Dequenne), è protagonista di questa pellicola. Clément è un giovane studioso di filosofia, costretto dalle circostanze a lasciare per un anno l’insegnamento in un liceo parigino, per essere trasferito in un istituto superiore di Arras, la città di Robespierre, ricca e ben tenuta, ma piattamente provinciale e chiusa alla cultura come i suoi abitanti. Jennifer, che è nata lì, è una giovane e vivace coiffeuse, madre di un ragazzino di cui si occupa da sola: cerca, come può, di conciliare il suo lavoro, con la passione irrinunciabile per il karaoke, e con la sua presenza in casa, accanto al figlio. L’aspirazione immediata di lui è quella di tornare a Parigi, che ora raggiunge solo nel weekend, per non perdere i contatti con gli amici intellettuali. Tenterà, al suo rientro definitivo, la carriera universitaria: articoli, saggi e pubblicazioni sono lì a testimoniarne i meriti di studioso. Lei sogna romanticamente di incontrare il grande amore, l’uomo che, facendole dimenticare il passato che l’ha delusa, desideri progettare con lei il resto della vita. Jennifer e Clément si incontrano nel salone da parrucchiere dove lei lavora. I due giovani si piacciono, si rivedono, cominciano a frequentarsi e si amano appassionatamente. Sarà la volta buona per Jennifer? Di sicuro, non lo è per Clément, troppo parigino, razionalista e abituato all’analisi delle emozioni più che ai sogni, per comprendere gli entusiasmi ingenui di lei, nonostante la sincerità del proprio sentimento che è fatto di tenerezza oltre che di desiderio. L’asimmetria della storia amorosa non nasce dunque dalla minore o maggiore intensità dell’amore nei due, ma dall’illusione, frequente e diffusa, che il vero amore possa superare anche le differenze culturali più profonde, il che è possibile, in questo caso, solo mascherandosi, travestendosi, diventando altro da sé. Le maschere su cui insistono molti primi piani della regia, verso la fine del film assumono dunque il significato del camuffamento necessario, ma sempre più insopportabile, per portare avanti una storia senza futuro. Riprendere la propria vita, tagliando ancora una volta col passato, diventerà per Jennifer l’mperativo categorico per ritrovare se stessa.
Il regista sviluppa questi temi, calandoli nei personaggi credibili e reali di Clément e Jennifer, che lungi dal diventare esemplificazioni dei concetti che esprimono, vivono e si muovono nella concretezza della vita quotidiana, cosicché si fanno seguire con partecipazione dolorosa. Questo dimostra che il film, che è triste e non semplice, è stato costruito molto bene e che possiede una solida sceneggiatura. Eccellenti gli attori.
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* Le jeu de l’amour et du hazard
Angela Laugier
0103/0645/1615 edit
P.S.: Mi scuso con Angela Laugier e coi lettori, ma scopro solo ora che la recensione settimanale, programmata come al solito per le 08:00 di domenica, era rimasta nei "depositi" di typepad, e ho dovuto "liberarla" a mano...