Titolo originale: Mr. Turner
Regia: Mike Leigh
Principali interpreti: Timothy Spall, Dorothy Atkinson, Marion Bailey, Paul Jesson, Lesley Manville – 149 min. – Gran Bretagna 2014.
William Turner (1775-1851), il più innovativo fra i pittori inglesi del primo Ottocento, viene raccontato in tutta la sua complessità in questo straordinario film biografico del grande Mike Leigh (Belle speranze, Another Year), che ricostruisce con grande rigore storico l’epoca in cui si sviluppano le vicende della sua vita, distribuendo lungo tutto il racconto, non solo perciò nei paesaggi e negli ambienti nei quali il pittore aveva concepito ed elaborato le sue opere, le magnifiche immagini della fotografia di Dick Pope che ha saputo coglierne impareggiabilmente i colori, le luci e le atmosfere. L’ultima fatica di Leigh si è protratta nel tempo, inevitabilmente, poiché il personaggio di cui ricostruisce la storia è un uomo complesso, sulle cui contraddizioni e sulla cui autenticità (Mister Turner è, infatti, il titolo originale) si incentra molta parte del film. Egli era rude e brutale, di aspetto sgraziato e sgradevole; si esprimeva per lo più a grugniti; si comportava come un animale, soprattutto con le donne. D’altra parte lo splendore luminoso della sua pittura paesaggistica, la pietosa rappresentazione, sulla tela, dei naufraghi trasportati in catene dal continente africano da negrieri senza scrupoli, l’attenzione commossa alla musica con coloriture sentimentali, l’amore per il padre ci parlano di un uomo diverso, sensibile e intelligente, la cui presenza nel film avvertiamo attraverso almeno due scene emblematiche, che, secondo me, hanno quasi la funzione di cerniera utile a stabilire la continuità senza soluzione del suo essere duplice, dionisiaco, e, insieme, paradossalmente, apollineo.
La prima ce lo descrive quando, tornato alla casa del padre dopo uno dei suoi molti viaggi continentali in cerca di ispirazione e di conoscenza, comincia a riportare sulla tela le sue impressioni di viaggio. Colpisce che egli lavori impastando le sue terre colorate, le biacche e gli oli con le mani che a poco a poco diventano tavolozza e pennello. Sul palmo di quelle mani egli valuta, infatti, la intensità dei colori che stenderà sulla tela, così come con le dita di quelle stesse mani egli trasformerà gli effetti uniformi delle campiture più vaste, creando profondità, sfumature, giochi delle ombre e di luci. Si tratta di un momento del film stupefacente per la sua significanza: l’uomo non teme lo sporco, la terra, la manualità della pittura; sembra, anzi, che se ne compiaccia, quasi che solo entrando nella confidenza più intima e carnale con gli elementi materiali del dipingere gli sia possibile ottenere quei sublimi effetti luminosi che gli permetteranno, nelle ultime opere, di attingere a una particolare forma di spiritualità, dematerializzando e disperdendo nella luce le ultime tracce di rappresentazione “naturalistica”. La seconda scena (che il regista gira accreditando una leggenda a lungo circolata, ma non documentata, sul conto dell’artista) descrive Turner che si fa legare saldamente all’albero di una nave durante una spaventosa tempesta, allo scopo di non farsene travolgere, abbandonandosi, però, alla terribile potenza delle forze naturali, per diventare egli stesso elemento in sintonia con quella natura selvaggia e primigenia. La memoria corre a Ulisse, che nello stesso modo si era difeso dal canto malioso e distruttivo delle Sirene, non rinunciando, tuttavia, a conoscerlo: l’arte avrebbe ricomposto in una superiore sintesi, sensazioni ignote e dolorose sofferenze.
Lo splendore straordinario delle immagini, la verità della narrazione, condotta con scrupolo filologico e la superba recitazione di tutti gli attori, del protagonista Timothy Spall, in primo luogo (gli è valsa la Palma d’oro a Cannes), ripagano largamente della inevitabilmente lunga durata della pellicola.
* il film ci parla dell’indifferenza astiosa per Sarah Danby, madre delle due figlie, mai amate; della brutalità degli assalti “usa e getta” alla fedele domestica e anche della tiepida relazione tardiva con la gentile e generosa vedova Booth, con la quale egli avrebbe condiviso, senza troppa continuità, gli ultimi anni della vita.
Angela Laugier
0502/0615/1500 edit