Titolo originale: En Duva Satt På En Gren Och Funderade På Tillvaron
Regia: Roy Andersson
Principali interpreti: Holger Andersson, Nisse Vestblom, Lotti Törnros, Charlotta Larsson, Viktor Gyllenberg – 100 min. – Svezia 2014.
Il titolo del film è ispirato al celebre dipinto di Pieter Bruegel il Vecchio, Cacciatori nella neve (1565), conservato a Vienna al Kunsthistorisches Museum: il piccione sul ramo si può notare in alto, al centro della scena.
Il tema di questo film, Leone d’oro all’ultimo Festival veneziano, è l’insensatezza del nostro vivere, raccontata attraverso 39 quadri, ovvero piani sequenza che volutamente conferiscono alle singole scene la staticità che connota l’intera pellicola. Il regista, infatti, intende portare sullo schermo lo svolgersi dell’umana commedia (o sarebbe meglio dire tragedia?) che, osservata dall’esterno, gli appare sostanzialmente immutata nel tempo e nello spazio, peggiorata, plausibilmente, dalla possibilità che la tecnologia dei nostri giorni, isolandoci dal mondo reale, ci protegga dal dolore e soprattutto da quello che procuriamo agli altri, poiché è in grado di trasformare i pianti e i lamenti di coloro che soffrono per il nostro egoismo e per i nostri pregiudizi, in canti melodiosi e dolci suoni che tranquillizzano le coscienze.
I trentanove episodi del film diventano perciò momenti di una grottesca rappresentazione dell’assurdità del vivere; i personaggi sono inconcludenti marionette meccaniche che recitano continuamente la parte che si sono attribuiti senza crederci: il loro volto infarinato nasconde la verità dei lineamenti e ne impedisce l’individuazione, di fatto resa impossibile dalla generale omologazione dei comportamenti e delle idee. La narrazione assume, per tutto il film, il carattere surreale di certe pellicole buñueliane, per l’ironia implicita nell’assurdità delle vicende e degli incomprensibili divieti, ma soprattutto per l’effetto straniante che deriva dal contrasto profondo fra i tragici fatti raccontati e il contesto cinico e avido in cui avvengono. Ciò è immediatamente visibile nei tre episodi che aprono il film, raggruppati col titolo Incontri con la morte, molto importanti sia perché ci danno la cifra stilistica di tutto il film, sia perché pongono da subito la questione fondamentale sottesa a tutti gli altri episodi: se, cioè, gli uomini siano stati o siano in grado di dare alla propria vita un senso: è significativo che le uniche scene a colori pieni del film siano quelle che rappresentano il senso possibile nell’amore e nella umana solidarietà.
Un film insolito, una narrazione originale, un Leone d’oro ben meritato.
Angela Laugier
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Scritto il 01 marzo 2015 alle 08:09 nella Angela Laugier, Cinema | Permalink
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