[Il mio secondo sbarco, per la precisione, perché chi mi segue sa che ci fu un quadriennio a inizio anni Novanta, quando andavo a lezione di violino e mi preoccupavo di avere le All Stars tarocche.]
Dunque, cinque anni da quello sbarco nell'estate 2010. Avevo un contratto in tasca ma sapevo che non era il lavoro dei sogni. Però sapevo anche che finalmente avrei potuto ricominciare ad averne, di sogni. Mi sentivo un po' importante e un po' businesswoman, cercavo di dirmi per darmi un tono in quel tailleur grigio-topo comprato alla stazione di Porta Nuova a Torino, che indosso ancora oggi. Avevo una ferita nel cuore che speravo sarebbe passata.
In cinque anni ho cambiato quattro lavori, trovato il lavoro del cuore, la fiducia nel futuro e la voglia di costruire qualcosa con qualcuno.
In cinque anni la ferita non si è cicatrizzata come speravo, nonostante un sacco di lacrime, notti insonni, promesse e tentativi falliti. Il sabato mi crogiolo ancora nella nostalgia e ogni tanto mi prende un senso di colpa grande almeno come le montagne che ho attraversato. Per chi ho lasciato indietro, per qualcuno che soffre e io non sono lì sempre a stringerle la mano, per chi invecchia e vede il tempo ridursi troppo in fretta e una domenica a trimestre è poco. Per quelli con cui mi scambiavo i bigliettini al liceo e ora whatsapp non è abbastanza per seguire i rispettivi percorsi di vita che si ramificano e diventano più complessi.
Spesso mi sembra di avere avuto tante vite che c'entrano sempre meno una con l'altra. A volte mi chiedo se non sia viva solo a metà, qui, perché non riesco a provare la gloriosa, costante e passionale incazzatura che pervadeva le mie giornate milanesi.
Puoi avere il migliore dei due mondi, mi suggerisce qualcuno. Si tratta di bilanci e compromessi, mi suggerisce qualcun altro.
Guarda al futuro e sii serena, mi dico io, perché questo è il miglior regalo che puoi fare a tutti, vicini e lontani.