C'è Belgrado, che dai tempo di Milosevic e delle follie nazionaliste, di strada ne ha fatta tanta e oggi guarda al futuro con la sua movida in salsa balcanica.
C'è Sofia, la più enigmatica, un nome che evoca profumi e nostalgia, capitale di un paese che evocava grigiore e conformismo per antonomasia, e che oggi, al contrario, è capace di sorprendenti aperture al mondo.
C'è Varsavia, che finora poteva passare per la città simbolo delle sciagure del Novecento, questo e poc'altro, se non tristezza, tanta tristezza, e che invece oggi è più vicina a Berlino, per dire una grande città che vive nella contemporaneità.
E c'è Tirana, che per noi italiani evoca ancora non solo gli orrori della dittatura ma anche i disastri del post-comunismo, e che invece in questi anni ha fatto passi da gigante, magari anche grazie a un sindaco più artista che amministratore, bravo a capire che la storia si cambia anche colorando le facciate delle case.
Cinque città, cinque capitali, cinque storie che disegnano il volto della nuovo continente. Così rapidamente da sorprendere i nostri pregiudizi, duri a morire, con le loro radici che affondano in un'Europa cancellata dalla caduta del Muro: quasi un quarto di secolo fa, ormai, e non sembra vero.
Solo ora mi è capitato di leggere A est di Flavia Capitani ed Emanuele Coen (Einaudi). Pagine che è un piacere leggere, un po' guida, un po' libro di viaggio, generose nelle riflessioni della storia e nell'esame delle nuove tendenze. Ci sono arrivato con qualche anno di ritardo, e chissà cos'è cambiato nel frattempo. Ma intanto mi basta, per spingermi con la fantasia e progettare nuovi viaggi, verso l'Oriente di Europa.