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Cinque domande a Elisabetta Bucciarelli, autrice di “Io ti perdono”. Colorado noir/Kowalski editore

Creato il 04 gennaio 2010 da Rita Charbonnier @ritacharbonnier


Elisabetta Bucciarelli è nata e vive a Milano, dove si è diplomata in drammaturgia presso il Laboratorio di Scrittura Drammaturgica del Piccolo Teatro. Lavora per Booksweb.tv, canale televisivo culturale on line. Ha scritto testi teatrali, saggi, racconti e i romanzi Happy Hour (Mursia), Dalla parte del torto (Mursia, selezionato per il Premio Scerbanenco 2007 e finalista al Premio Azzeccagarbugli come miglior romanzo poliziesco del 2008), Femmina de luxe (Perdisa Pop, Bloody Mary Award 2008 assegnato da Thriller Café) e il più recente Io ti perdono (Colorado noir/Kowalski), finalista al premio Scerbanenco 2009, menzione speciale della giuria “per l’originalità della scrittura e l’analisi psicologica”.
Cinque domande a Elisabetta Bucciarelli, autrice di “Io ti perdono”. Colorado noir/Kowalski editore1. Il tuo romanzo è un noir incentrato su un caso di bambini scomparsi sul quale indaga l’ispettrice Maria Dolores Vergani, che abbiamo già conosciuto nei tuoi libri precedenti. Quale esigenza ti ha portata a scrivere questa nuova storia?
Io ti perdono nasce da una domanda: come (e se) sia possibile sopravvivere a un dolore tremendo quale la morte di una persona amata o la perdita di un figlio. L’unica risposta possibile mi sembrava poter essere il perdono. Religioso per chi ha il dono della fede. Laico, per chi ha seguito percorsi differenti. Non ho mai avuto fascinazioni per assassini o delinquenti, mi interessano le vittime e, soprattutto, i sopravvissuti. Il loro lamento, le loro parole, le difficoltà, le paure di chi resta. Per questo mi sono immaginata un perdono impossibile, nei confronti di chi osa toccare i bambini. Una possibilità di redenzione che solo il segreto del confessionale può concedere, ma fuori da lì perdonare o meno è una partita da giocare con la propria coscienza. Bambini reali ma anche infanzia come metafora di un’arcadia dei sentimenti che abbiamo perduto. La capacità di fidarci del prossimo e di lasciarci andare alle emozioni. La insensata volontà di annientare tutto ciò che di buono ci viene proposto e offerto dalle relazioni affettive.
2. Come è cambiata, nel tempo, la tua relazione con Maria Dolores Vergani? Ci sono dei momenti nei quali interloquisci con il tuo personaggio e ti sembra di non essere d’accordo con lei?
Maria Dolores Vergani è un personaggio resistente ai miei stessi attacchi. Ho per lei una fascinazione reale ma anche un’insofferenza data dalla lunga frequentazione e dalla presenza continua e costante in quasi tutte le mie scritture. Spesso non sono d’accordo con la Vergani, la metto in discussione dentro e fuori la pagina dei libri. Ma lei è meglio di come vorrei raccontarla, quindi mi stupisce, resiste, combatte, e senza eccedere, trasgredire o fare finta di essere un uomo, riesce a mantenere un equilibrio, incassa bene le sconfitte, e segue strade impreviste. Non ha una grande dimestichezza con le emozioni, ma la vita la sta obbligando a fare i conti con la perdita, l’abbandono o la follia propria dell’innamoramento. Forse, come sostiene lei da ex psicologa, a volte alcune circostanze traumatiche della vita, ti aiutano a vedere chiaro, a smussare gli spigoli, a cambiare parti del carattere. Per lei, almeno, funziona così.
Cinque domande a Elisabetta Bucciarelli, autrice di “Io ti perdono”. Colorado noir/Kowalski editore3. Potresti darci una tua definizione del genere “noir” e motivarcela?
Sono convinta che il Noir sia un genere ben regolamentato. Non l’indagine dell’ispettore/ commissario/ detective alla ricerca del colpevole e del come ha fatto. Ma la risposta alla domanda più difficile: perché l’ha fatto? Il movente, non tanto quello meccanico, ma il più sottile, psicologico, esistenziale. Ancora, penso che il Noir sia composto da precise atmosfere e sapori, la malinconia legata ai luoghi, alle espressioni, alle musiche. La dolente figura della vittima, che non c’è ma è sempre presente. La sensazione di sconfitta, l’assenza di consolazione e di conforto. Il racconto di uno spaccato sociale, con le sue tematiche, i punti di forza e soprattutto, le debolezze. I margini. I bordi che non guarda nessuno. Piccole epiche quotidiane disperate. E la contemporaneità degli eventi. Il Noir è qui e ora, con incursioni nel passato ma solo come profondità di campo. La storia che tiene insieme tutto questo, spesso può non essere di investigazione. Esagerando direi che il miglior Noir che ho letto quest’anno è Emmaus, di Alessandro Baricco (Feltrinelli). Molte vittime, ma di chi? E perché? In nome di cosa? Mi sono chiesta chi siano gli assassini e chi i mandanti. Ho seguito le vicende aderendo alle motivazioni che le hanno mosse. Il ritratto pieno di pietà e allo stesso tempo spietato, di una società e delle persone che la abitano. Senza consolazione nemmeno quando si parla di fede. Questo per affermare che Noir non significa sangue, pioggia battente, sobborghi e periferie, sigari che bruciano tra le labbra e impermeabili che si muovono in provincia o nelle metropoli. E’ anche uno stato (si spera transitorio) dell’anima e degli occhi che guardano, sia di chi scrive che dei suoi personaggi.
4. Credi che l’attività di una scrittrice si differenzi in qualche modo dall’attività di uno scrittore? Secondo te esiste una “scrittura femminile”?
Sì, credo esista una profonda differenza, non già nel risultato o nello stile, ma nella predisposizione a raccontare. Quando scrivere non è solo intrattenere, diventa quasi un gesto volto a restituire qualcosa. Non so cosa di preciso, ma una forma di comprensione. Una cura che si ha nel dire, in modo brutale o attento, come stanno davvero le cose. Soprattutto nel Noir, penso a Fred Vargas o a Dominique Manotti, ma a anche alla Marklund, non si scrive a vanvera. Non per il proprio indubbio narcisismo. Ma si indaga la vita insieme alla storia. C’è un’etica, mi pare di poter dire, legata a questo mestiere, un’onestà intellettuale che le donne rispettano quasi sempre. In questo momento mi piace pensare che sia così.
5. Che rapporto hai con i premi letterari, e come hai vissuto l’esperienza dello Scerbanenco nello scorso dicembre?
Nel 2009 sono stata finalista a tre premi letterari [oltre allo Scerbanenco, il Premio Mediterraneo del Giallo e del Noir, e l’Azzeccagarbugli per Femmina de luxe, ndr]. L’emozione di essere tra i libri prescelti dell’anno è certo piacevole. La prendo come una conferma. Così è stato anche al premio Scerbanenco. Una giuria di autorevoli esperti ha reputato Io ti perdono un buon libro e gli ha conferito una menzione speciale. E’ uno tra i segni che mi aiutano a pensare di poter continuare a fare questo lavoro.
Grazie, Elisabetta! E per maggiori informazioni su Io ti perdono potete visitare il sito ufficiale dell’autrice oppure il blog dedicato al romanzo, sul quale è pubblicata la rassegna stampa. Potete anche leggere un breve estratto da questo link (si apre in un’altra finestra).
Video trailer di “Io ti perdono”

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