Cinque registi trombati in stile Edgar Wright

Creato il 28 maggio 2014 da Paopru

Edgar Wright ha lasciato Ant-man per sempre. Per chi sperava in una virata più autoriale del film si tratta di un’autentica mazzata e un ritorno manco a dirlo a un tipo di cinema più mainstream e meno rischioso. Wright non è certo un tipino che sforna pop-corn movie ogni giorno, sopratutto se si guarda alla sua carriera fatta di pellicole strane e poco in linea con la mentalità Marvel. La trilogia del cornetto e Scott Pilgrim danno il polso del suo modus operandi e un Ant-man girato in quella maniera sarebbe stata un patata bollente anche per la Marvel e tutti i suoi detrattori.

I film di Wright floppano spesso e volentieri al botteghino e sicuramente, nelle fasi direttamente antecedenti all’inizio delle riprese, qualcuno ai piani alti ha cominciato a sudare freddo e sentire un certo prurito. Il povero Edgar lavorava ad Ant-man dal lontano 2008, ben prima di Ironman. Il suo film sarebbe stata la cornerstone della Fase 3 programmata per luglio 2015 a ridosso dell’uscita di Avengers: Age of Ultron, capitolo concluso della Fase 2 in casa Marvel. La notizia bomba dell’abbandono sganciata da Hollywood Reporter è stata seguita da un articolo non proprio esaustivo di Latino Review riguardo alle motivazioni dell’allontanamento del regista e del suo braccio destro, lo sceneggiatore Joe Cornish.

 “Tre mesi fa la Marvel aveva inviato una nota con indicazioni relative ad alcuni cambiamenti ritenuti necessari. Alla base di tutto c’era il nucleo morale della storia, che condizionava tanto i personaggi quanto il plot stesso”.

Dunque divergenze creative che hanno reso insostenibile la situazione e portato all’inevitabile divorzio. Cosa accadrà ora al film dell’ Uomo Formica? I Marvel Studios affermano di avere una short list di registi pronti a dirigere il film e che entro breve tempo sapremo chi salirà in cabina di regia. Il Comicon di San Diego è alle porte e i fan di Wright probabilmente saranno pronti a intonare un coro di fischi verso Kevin Feige e soci, rei di aver snaturato alla base un film in cui tutti credevano parecchio e idolatrato per la sua possibile originalità.

Eppure non è la prima volta che si verifica la sostituzione di un regista, sia in fase di pre-produzione che in itinere alle riprese. Ecco allora cinque casi eccellenti di rimozione della sedia di regia dal fondo schiena del malcapitato per “divergenze creative”, eufemismo sempre più utilizzato ufficialmente ma che in molti casi è sinonimo di “incompetenza” o di “scarsa intesa” sulla finalità del film (serve per fare quattrini o è una espressione artistica?).

Daredevil (serie Tv)

Drew Goddard, regista di Quella Casa nel Bosco, sarebbe dovuto essere lo showrunner della serie sul supereroe, tornato di recente nelle mani della Marvel dopo la perdita dei diritti in casa Fox. La serie, programmata per uscire l’anno prossimo attraverso il servizio on-demand di Netflix ha galvanizzato gli animi degli adoratori del Diavolo Cieco, dopo la deludente versione cinematografica con Ben Affleck. Goddard cede il testimone in questo caso non per dissensi creativi ma per impegni legati al suo futuro. Sarà infatti il regista dello spin-off sui Sinistri Sei legato al franchise di The Amazing Spiderman. Prima di mollare ha comunque designato il suo successore: Steven S. DeKnight, padre della serie Spartacus e regista di qualche episodio di Buffy L’ammazzavampiri.

Thor – The Dark World

Prima di Alan Taylor da Il Trono di Spade vi fu Patty Jenkins. Chi??? Ricordate il film Monster che fece vincere a Charlize Theron l’oscar come miglior attrice protagonista? Ecco, alla regia c’era proprio la Jenkins. Dunque un’altra scelta autoriale per un film come Thor che di autoriale non ha un beneamato. Seconda donna scelta per dirigere un cinecomic (la prima è stata Lexi Alexander per Punisher – War Zone), la Jenkins godeva dei favori entusiastici di Natalie Portman, gasata per la presenza dietro la macchina da presa finalmente di una donna. Ma il maschilismo Hollywoodiano prende in breve il sopravvento e dietro giustificazioni formali che parlano di “divergenze artistiche legate al budget e allo sviluppo della storia” la Jenkins torna velocemente a casa con la valigia in mano, dando un cinque in aeroporto ad Alan Taylor che gongola per il passaggio dal piccolo al grande schermo. Peccato che il film che ne tira fuori è una mezza cagata (mia recensione avvelenata qui).

The Hobbit

Gulliermo Del Toro ci aveva creduto fino all’ultimo. Aveva partecipato a infinite discussioni con Peter Jackson e soci per scrivere e rifinire lo script della trilogia, aveva co-partecipato allo sviluppo delle creature e dato il proprio imprinting ai film prima di mollare per sfinimento. La New Line (Major che deteneva i diritti del film) era in liquidazione per fallimento e i soldi per iniziare le riprese non arrivavano. Dopo due anni circa di stallo il povero regista messicano comunica ai fan che gna fà più e lascia la sedia a chi più di lui ha voglia di aspettare. Fan in lutto, pessimismo su più livelli emozionali e infine voto unanime su TheHobbit.com per far dirigere la nuova trilogia a Jackson. Del Toro salì sull’aereo con quel senso di leggerezza che si avverte dopo che si è riusciti a sopravvivere alle sabbie mobili, mette in cantiere cinque o sei progetti e realizza in tempi stretti Pacific Rim, la sua più grande sega mentale sui Mecha. Risultato? Jackson resta nel pantano e sprofonda sotto il peso del suo stesso ego, tirando fuori due film su tre davvero insulsi.

Masters of The Universe

Il film su He-man non riesce a decollare. E forse nemmeno ce ne sarebbe bisogno dato l’amore incondizionato che provo per la versione trashissima anni ’90 con Dolph Lundgren e Frank Langella. Eppure anche questo film puzza di milioni di dollari inespressi secondo Hollywood e dunque via alla pre-produzione per lanciare un possibile franchise. Sale in cabina di regia Jon M. Chu (G. I. Joe), si guarda attorno, studiacchia script e concept dei personaggi e poi molla dopo qualche mese per dedicarsi al terzo capitolo della serie che lo ha reso famoso. La Sony, legata al progetto sui Masters, non congela il film e anzi rilancia affermando che è alla ricerca di un nuovo regista che condivida lo script di Terry Rossio, lo sceneggiatore di Pirati dei Caraibi.

The Wolfman

Per ultimo il caso più critico di tutti. La cacciata a riprese iniziate di Mark Romenek dal suo film The Wolfman. Ai tempi si parlò di autentico disastro e di vero e proprio allontanamento per evitare una deriva che avrebbe fatto perdere ai produttori milioni di dollari. Romanek si giustifica così “Credo che i produttori fossero molto spaventati dai miei suggerimenti sul tono originale che stavo cercando di dare alla pellicola. C’erano molti soldi in ballo e ultimamente non sono stato capace di convincerli riguardo alle mie idee”. Insomma Romanek voleva fare di testa sua questo non piacque agli investitori. Così venne ingaggiato Joe Johnston, per salvare la barca che affondava lentamente ed evitare il naufragio. Appiattimento totale del tono del film, poca originalità e tagli con l’accetta al montaggio per evitare il rating e far perdere soldi sono stati il dictat principale. in tutto questo l’odiato Romenek non compare nemmeno tra i credits della pellicola.


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